Se uno legge la meghillà a ritroso egli non ha compiuto il suo obbligo.
Una interessante interpretazione di questo passaggio è offerto dal Baal Shem Tov. Colui che legge la Meghillà pensando che gli eventi raccontativi avvennero solo nel passato, a ritroso, ed il miracolo oggi non è rilevante non ha compiuto il suo obbligo. Lo scopo della lettura della Meghillà è di imparare come un ebreo deve comportarsi in tutti i tempi ora, come nel passato.
Questa interpretazione si applica in tutte le idee e versi della Meghillà e si riferisce ancor più al verso che spiega perché la festività viene denominata Purim. Il nome di una cosa esprime la sue essenza, e così il verso che ne spiega il nome spiega il concetto essenziale di Purim.
La Meghillà afferma: Dunque chiamarono questi giorni Purim dalla parola pur. Pur significa sorte. Infatti, Haman, il persecutore degli ebrei, aveva tirato a sorte per stabilire la data in cui gli ebrei dovevano essere sterminati. La festività che celebra la caduta di Hamman e la liberazione degli ebrei è così chiamata Purim-Sorti.
Celamento della DivinitàPurim è una parola persiana, infatti, la parola sorte in ebraico è goral. In effetti quando la Meghillà afferma che Haman aveva tirato a sorte, aggiunge le parole "cioè, il goral". In altre parole, la Meghillà spiega che pur significa goral in ebraico, la lingua nella quale la Meghillà è scritta.
Perché allora la festività viene chiamata con un nome persiano anziché dell'equivalente ebraico goralòt? Dopotutto tutte le altre festività hanno nomi ebraici. Sarebbe certamente opportuno che il nome di questa festa esprimesse il miracolo e la liberazione vissuta dagli ebrei come in tutte le altre festività. Ma il nome Purim esprime esattamente l'opposto, infatti è denominato per le sorti che Haman gettò per fissare il giorno in cui intendeva sterminare gli ebrei.
Un altro aspetto è peculiare alla Meghillà. A differenza da tutti gli altri libri sacri, non c'è menzione del Nome di D-o nell'intera Meghillà. Questa notevole omissione suggerisce un celamento estremo. Il nome di D-o, in generale, scorre fluido nelle labbra di un ebreo; ed anche quando si scrive su carta e penna è usanza ebraica universale cominciare con le parole con la grazia di D-o. Ciò nonostante nella Meghillà, uno dei ventiquattro libri sacri, il nome di D-o non è menzionato neanche una volta.
Come scritto sopra, un nome esprime l'essenza. Il celamento di D-o trova anche allusione nel nome stesso della Meghillà che è denominate Meghillat Ester, "Ester significa celamento". Per di più il Talmùd chiede: Dove si fa allusione ad Ester nella Torà? E risponde "v'Anochì haster astìr panai - nasconderò sicuramente la mia faccia." II doppio uso delle parole la cui radice significa celamento, haster astir indica un doppio celamento del volto divino.
Dall'altra parte, la parola Meghillà, deriva dalla parola ghilui, che significa rivelazione. Abbiamo quindi un paradosso. Infatti il nome Meghillat Esther indica sia celamento che rivelazione. Questa festività è chiamata Purim un nome persiano, che richiama il decreto contro gli ebrei, allo stesso tempo, la festività di Purim è celebrata con una gioia più grande delle altre festività al punto in cui uno è obbligato a bere fin a che non riconoscerà la differenza fra benedetto sia Mordechai e maledetto sia Haman, ossia fino a provare una gioia che trascende tutti i limiti.
Decreto abrogato attraverso il pentimentoIl paradosso è risolto attraverso la chiara comprensione della natura del miracolo di Purim. Quando Haman emise il suo malvagio decreto di sterminio degli ebrei, il popolo ebraico aveva rappresentanti nelle più alte sfere del governo. Mordechai, ci informa la Meghillà, sedeva assiduamente al cancello del palazzo reale ed era altamente rispettato dal Re. Per di più aveva salvato la vita del Re quando scoprì il complotto elaborato da Bigtàn e Terésh. Ester era regina ed aveva "conquistato la grazia ed il favore del Re". Apparentemente quando gli Ebrei seppero del decreto come prima istanza avrebbero dovuto usare questi rappresentanti per cercare di persuadere Achashverosh a revocarlo. La Meghillà ci dice diversamente: Mordechai si rivestì di sacchi e con il capo sparso di ceneri si recò nel centro della città e pianse altamente e amaramente. In altre parole la prima azione di Mordechai non fu quella di intercedere presso il Re, ma di pentirsi e di incitare tutti gli ebrei a fare lo stesso.
Solo allora egli istruì Ester ad andare dal Re a supplicarlo ed implorarlo per la sua gente. Ester si comportò in egual modo. Si potrebbe supporre, che il successo della sua supplica al Re per la rinuncia del decreto, sarebbe dipesa dalla sua attrazione agli occhi del Re. Inoltre la legge di corte era esplicita "chiunque uomo o donna, verrà dal Re nella corte interna senza essere convocato... sarà messo a morte; eccetto che per la persona alla quale il Re estenderà il suo scettro d'oro". Ester non era stata convocata dal Re durante gli ultimi trenta giorni. Aveva certamente bisogno di tutta la grazia ed il favore possibile nell’avvicinare il Re. Ciò nonostante scopriamo che le preparazioni di Ester per avvicinare il Re non erano misure designate a rafforzare il suo aspetto personale. In effetti era proprio l'opposto: Ella disse a Mordechai, "Vai, riunisci tutti gli ebrei e ... digiunate per me. Non mangiate e non bevete per tre giorni, notte e giorno. Anch’io... digiunerò". Digiunare specialmente per tre giorni di seguito non contribuisce di certo alla bellezza di una persona. Nonostante ciò, lei scelse proprio queste misure per il suo appello al Re! La ragione è semplice: Mordechai ed Ester sapevano che il decreto contro gli ebrei non era un mero caso messo in moto da eventi naturali. Invece, come ogni disgrazia che ricade sugli ebrei, era risultato dei loro misfatti e sbagli. Sapendo questo, il corso dell’azione adottato da Mordechai ed Ester era inevitabile.
Un effetto non può essere eliminato senza prima rimuovere la causa. Così il loro primo passo fu di rimuovere la causa, decretando un digiuno e richiamando tutti gli ebrei al pentimento. Soprattutto, Ester spiegò chiaramente per filo e per segno il peccato che condusse al malvagio decreto di Haman e l'appropriato pentimento da adottare. I1 peccato fu che gli ebrei mangiarono e bevvero al festino di Achaverosh. L'appropriato pentimento fu "Digiuna... non mangiare né bere". Solo dopo che il pentimento aveva eliminato la causa del decreto di Haman, Achashverosh fu avvicinato per revocare il decreto. Siccome D-o desidera contare non solo sul miracolo, ma adottare un recipiente con mezzi naturali attraverso il quale si attua la salvezza, sarebbe stato necessario la supplica di Ester al Re. Ciò nonostante siccome non è altro che un recipiente, e la causa della salvezza è il pentimento e il digiuno, l'enfasi principale sta nella causa e non nel recipiente.
Rinnovare il legame con D-oQuesta è la lezione di Purim: quando le difficoltà ricadono sugli ebrei, D-o ne liberi, la prima cosa da fare è di rafforzare il nostro legame con D-o studiando la sua Torà e compiendo le sue mitzvòt. Solo allora cercheremo una via naturale per essere salvati dalla tragedia. Lo stesso si applica all individuo: un ebreo è connesso a D-o che non è limitato dalle leggi della natura. E mentre la benedizione di D-o arriva attraverso il lavoro delle mani dell'uomo, tale lavoro è solo il recipiente, e dunque l'enfasi principale non deve essere riposta sul recipiente, ma nello studio della Torà e il compimento delle mitzvòt. I1 miracolo di Purim insegna inoltre che ciò di cui sopra si applica anche ai tempi in cui la Divinità è nascosta dai veli dell'esilio, dall'oscurità. I tempi di Achashverosh erano tempi di esilio per gli ebrei, quando questi erano "sparsi e dispersi fra le nazioni". Nonostante ciò il miracolo e la salvezza giunsero attraverso il pentimento ed il digiuno, attraverso il ritorno a D-o. Questo dunque è il motivo per cui la festività viene chiamata Purim - un nome persiano, che riflette il decreto contro gli ebrei, ed anche il motivo per cui il nome di D-o non è menzionato nella Meghillàt - celamento - Esther.
Gli ebrei non sono limitati dalle leggi della natura, non in questioni spirituali, né in affari mondani. Anche quando trattano con i non ebrei, quando si deve parlare nella loro lingua (persiano) un ebreo trascende la natura. Purim è un nome persiano ed Ester significa celamento. Ma queste sono manifestazioni esterne. La sorte, la Meghillà si prende cura di dirci, è il goral. L'esito del goral, la sorte, è determinata non certo dai calcoli umani ma è principalmente nelle mani di D-o. Nel pur, in Purim, c'è la Divinità. E nel celamento, nel “haster astir”, c'è l'”Io”. "Io certamente celerò il mio volto". Un ebreo ha bisogno di rimuovere i veli, e l'”Io” — l’essenza di D-o — è rivelata — D-o è nella natura come nei miracoli. Quando, dunque, un ebreo legge la Meghillat Ester deve sapere che il celamento della Divinità (Esther) è in realtà una rivelazione - meghillà - che D-o si trova anche nella natura poiché il pur in realtà è il goral. E quando egli legge la Meghillat Ester non « all'inverso ma come qualcosa che esiste ora, rilevante per lui — egli esperimenta il più alto tipo di rivelazione — meghillà.
Questo a sua volta produce il più grande tipo di gioia oltre tutti i limiti — fino a che egli non saprà la differenza fra "benedetto sia Mordechai" e "maledetto sia Haman. Dalla redenzione di Purim procediamo alla futura redenzione, quando il buio dell'esilio sarà illuminato così come i celamenti di Ester si verificarono come rivelazioni della Divinità.
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