Durante Rosh Hashanà proclamiamo la sovranità di Hashèm sull’universo e ci impegniamo a obbedirgli. È un momento di teshuvà, ritorno e pentimento per i peccati commessi, seguiti da sincere promesse di non ripeterli. A priori, non sembrerebbe il giorno propizio a presentare una lista di richieste materiali.
Eppure, il Machzor (libro di preghiere di Rosh Hashanà e Yom Kippùr), abbonda in domande per il miglioramento dell’esistenza terrena. Infatti, in questo giorno, la forza divina che soffia vitalità in tutto il creato si rigenera per l’anno nuovo e ogni creatura riceve la sua porzione di salute e prosperità. Come conciliare l’immensa sacralità della ricorrenza coi caratteri prettamente materialistici di gran parte delle suppliche?
La Tefillà: unione assoluta
La preghiera permette l’unione dell’anima al Creatore, è l’oasi spirituale dalla quale l’anima attinge forza, per legarsi alle mere ambizioni fisiche del corpo che la ospita. In ebraico, tefillà significa “legame”, in quanto il suo scopo, come indica l’etimologia del termine, è di riconnetterci alla nostra fonte divina. Quindi, il concetto di preghiera reca in sé un paradosso: perché nella maggior parte della tefillà si sollecita insistentemente l’aiuto divino per i nostri bisogni?
La discrepanza pare approfondirsi proprio durante Rosh Hashanà: ci alziamo ossequiosamente innanzi al Sig-re e lo nominiamoRe; ci sottomettiamo alla sua volontà, annichilendo il nostro ego e tutte le sue inclinazioni. C’è davvero posto in questo momento di solenne comunione per pensare al nostro benessere personale? Ebbene, sì. Solo all’essere umano è stato concesso il libero arbitrio, quindi solo l’essere umano è in grado di proclamare Re il Sign-re. Subordinandoci a D-o di nostra spontanea volontà, risvegliamo la sua ambizione a governare, profondendo nuove energie nei suoi impegni nei confronti di tutta la creazione.
Il desiderio di essere Re è descritto dai nostri saggi come una sua sublime aspirazione a disporre di “una residenza nei regni inferiori”. Perché nelle sfere più basse? Perché solo qui viene proposta l’opzione della scelta. La spiritualità è istintivamente attirata dalla divinità, per essa si tratta di una via “obbligatoria”, mentre gli uomini che si dirigono verso Hashèm lo fanno per scelta. Il libero arbitrio è un’esclusiva umana, pertanto, se optiamo per un’opera di elevazione, abbiamo conquistato una fortezza quasi inespugnabile, visto che tale atteggiamento si oppone alle nostre predisposizioni naturali.
Chi ritiene indecoroso “disturbare” Hashèm durante Rosh Hashanà per “banalità” quali il pane e il latte per i bambini, rinnega un principio fondamentale della sovranità divina. Infatti, incoronare il Sig-re significa accettarlo come governatore assoluto su tutti gli aspetti della nostra esistenza. Significa riconoscere la nostra completa dipendenza non solo per il cibo spirituale, ma anche, e soprattutto, per il pezzo di pane che ci fa vivere.
Siamo servi che supplichiamo il padrone di fornirci gli strumenti necessari a servirlo meglio. Chiediamo soldi per compiere la mitzvà della tzedakà. Chiediamo i mezzi che ci permettano di mantenere il corpo e l’anima uniti, sino a renderli un tutt’uno che sia degno di trasformare questo mondo in “una residenza nei regni inferiori” per il Sig-re
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