In mezzo ad una lezione di Torà da me impartita ad Anversa, irruppe ad un tratto un giovane ventenne sconosciuto da tutti. “Ho sentito che qui si può studiare l’ebraismo – disse – e che posso persino trovare un alloggio. Tornerò quando mi sentirò pronto. Siete d’accordo?” Risposi che non c’era nessun problema. Si ripresentò qualche tempo dopo.
Si chiamava Eytan, era israeliano e come molti altri suoi coetanei, dopo il servizio militare, aveva lasciato momentaneamente il suo paese per visitare l’India ove incontrò un ammaliante gurù che insegnava una forma di spiritualità. Questa sedusse Eytan, il quale sapeva che se fosse riuscito ad immergersi pienamente in questa “scienza”, avrebbe usufruito del privilegio di integrarsi nella cerchia ristretta dei veri discepoli e di raggiungere in seguito il culmine: i segreti della “verità” tanto agognata e destinata esclusivamente all’élite, a pochissimi eletti.
Durante la fase avanzata della sua formazione, il guru lo interpellò riguardo alle sue origini. Quando Eytan rispose che era israeliano, il suo maestro gli domandò enfaticamente se egli aveva troncato ogni rapporto con l’ebraismo. Eytan fu sconcertato dal quesito, in quanto non possedeva altro che un’idea molto sfocata sulla fede dei suoi avi. Tuttavia, dopo matura riflessione, ammesse con sincerità che si sentiva ancora legato alla sua cultura.
Alchè, la guida spirituale gli annunciò che in tal caso egli non poteva conferirgli il titolo di guardia del corpo personale finché non si strappava radicalmente dalle sue origini. Inoltre, gli consigliò, da gran signore, di recarsi in Olanda al fine di effettuare ricerche accurate inerenti alla sua religione. Qualora questa l’avesse deluso, ciò l’avrebbe purificato in eterno e gli avrebbe concesso di dedicarsi anima e corpo alla sua nuova setta.
Eytan si rivolse quindi a me e studiammo insieme per un certo periodo durante il quale notai in lui un progressivo mutamento. L’ebraismo decisamente lo interessava. Gli aspetti mistici della chassidùt lo attiravano in modo particolare. Scoprì così molti risvolti della sua eredità spirituale ai quali egli non ebbe mai l’opportunità di accedere. Ciononostante, nutriva perplessità quanto alla necessità di praticare certe mitzvòt basilari, come i tefilìn, per esempio. Anche a seguito di uno studio più intensivo, non rius c i v a a c o n v i n c e r s i d e l l ’ i m p o r t a n z a dell’applicazione dei comandamenti.
Me ne parlò e mi dichiarò onestamente: “Ho deciso di prendere una pausa. Benché constato che sto innegabilmente evolvendo ed incamminandomi sulla via giusta, voglio accertarmi che il mio entusiasmo non sia condizionato da Anversa, nella quale tanti ebrei vivono secondo le regole della Torà. Intendo tornare in Olanda per appurare se il mio attaccamento all’ebraismo è davvero sincero o se è invece dovuto alla temperatura ambiente”. E Eytan partì. Sapevo che dovevo attendere pazientemente. Ma i giorni passarono fino a diventare settimane e mesi e nessuna notizia mi pervenne dal ragazzo.
Le feste di Tishrei si stavano avvicinando. Il Capodanno arrivò. Il mattino di Rosh Hashanà mi concentrai su alcuni versetti della preghiera nei quali si riporta come D-o creò e crea di continuo il mondo e come un giorno “Tutte le Tue creature sapranno che Sei il loro Creatore”. Pensai a Eytan e supplicai il Signore di far conoscere a questo giovane la Verità, la sua Verità, la Verità della Torà, del popolo ebraico, dell’esistenza di Hashem e dell’avvento imminente di Mashiah che porterà la pace fra tutte le nazioni.
Proprio in quel lì sentii una pacca sulla spalla. Turbato nel mio fervore, mi voltai: era Eytan! Sorpreso e felice di vederlo, gli rivolsi un silente ma caloroso saluto, ero in mezzo alla Tefillà, e gli proposi con gesti eloquenti di sedersi. Dopo la funzione, ci appartammo e parlammo tranquillamente. Mi narrò quanto gli accadde quel mattino, poco prima di arrivare in sinagoga. ”Ho iniziato la giornata come di consueto, con le meditazioni. Nella quiete del sole che sorgeva maestosamente, capii improvvisamente con assoluta chiarezza che D-o esiste e che la Sua Torà è la Verità. E dai più remoti meandri della mia mente, riaffiorò un’aura da tanto tempo dimenticata: siamo all’inizio dell’autunno, pensai, sicuramente il Nuovo Anno non è lontano.
Cercai un calendario ebraico e vidi che era Rosh Hashanà. Una voce interiore mi diceva senza tregua che dovevo assolutamente unirmi ad altri ebrei per la preghiera. Non volevo lasciare passare momenti tanto grandiosi senza tradurli in fatti, come Avraham non sacrificò suo figlio Itzchak in quanto Hashem gli promise che gli avrebbe dato una discendenza per servirLo. Avraham non voleva perdere un’occasione altamente spirituale senza materializzarla in un atto davvero sacro. Eccomi, sono qui Rav, non mi lascerò sfuggire un momento così solenne senza concretizzarlo: mi aiuti a ritrovare la mia strada!”.
Rav Slavaticky, shaliach Chabad Lubavitch ad Anversa
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