Il diciannove di kislèv è una data importante, un giorno di grande festa, per i chassidìm Chabàd e per per tutto ‘Am Israèl.

Duecentoundici anni fa, il primo Rebbe di Lubavitch, Rabbi Shneur Zalman di Liady, fu in questo giorno liberato da una lunga e amara prigionia nelle carceri delle Russia zarista. Era stato accusato di “alto tradimento” verso la patria russa poiché inviava denaro al nemico turco. Di fatto, si trattava di fondi di tzedakà che egli inviava agli ebrei di Eretz Israèl come sostegno da parte dei loro fratelli russi. Poiché allora la Terra Santa era sotto dominio turco, il suo operato fu considerato dal governo zarista come un pugnale nella schiena e quindi da punire duramente. Come solo gli ufficiali dello Zar sapevano fare.

Erano stati i cosiddetti mitnagdìm, gli oppositori al chassidismo, a denunciare il Rebbe e a “venderlo” alle autorità. Era volontà di Hashèm che essi non capissero ancora il valore della chassidùt e la sua profondà verità. Non era ancora giunto il momento che ciò accadesse. Essi vedevano nel chassidismo e nei suoi insegnamenti una minaccia alla sopravvivenza di Israele, invece di capire che si trattava di ciò che avrebbe di fatto salvato il popolo ebraico dalle terribili pene dell’esilio e ciò che gli avrebbe finalmente aperto le porte verso la gheulà, la Redenzione.

Anche Yossèf, figlio di Ya’akòv, in qualche giorno della nostra storia fu arrestato e in qualche giorno, due anni dopo, fu liberato.

Anche altri tzadikìm furono arrestati, imprigionati, torturati e poi, nel più felice dei casi, liberati. E così l’Alter Rebbe, uno come tanti.

L’evento dovrebbe quindi essere ricordato o celebrato dai suoi discendenti e forse anche dai suoi chassidìm.

Ma perché festeggiare la data della sua liberazione con così tanto entusiasmo? Perché far tanto scalpore e cercare di coinvolgere tutti gli ebrei in questi festeggiamenti?

La liberazione dell’Alter Rebbe fu una sorta di OK dalle alte sfere, una sorta di via libera che avrebbe segnato la storia del popolo ebraico fino alla venuta di Mashìach.

Le accuse di tradimento erano solo un pretesto con cui Hashèm scelse di travestire l’arresto e la prigionia del Rebbe. Tutte gli eventi spirituali che si verificano in questo mondo devono infatti essere travestiti con un manto di banalità e di naturalezza. È successo... perché ha fatto... e quindi...: causa/effetto. Come il miracolo di Purìm. Tutto perfettamente naturale, in apparenza, ma in realtà molto miracoloso e spiritualmente grandioso.

In alto, nelle sfere più eccelse, le accuse verso l’Alter Rebbe erano molto gravi: non è arrivato il momento di diffondere la chassidùt, il mondo non è pronto a riceverla, a capirla, ad accoglierla, ad assimilarla e ad attuarla. E l’Alter Rebbe ne era perfettamente conscio. Egli stesso aveva spiegato ad uno dei chassidìm il motivo della malattia del suo maestro, il Maghid di Mezeritch:

«Una pagina su cui erano stati trascritti profondi insegnamenti chassidici è caduta per terra. Si tratta di un grande sacrilegio, perché parole tanto sante non possono essere oggetto di disprezzo. Gli angeli accusatori hanno quindi "denunciato" il Maghid, che, essendo stato giudicato colpevole di non aver salvaguardato la chassidùt, ora paga con la sua grave malattia. Ma il Maghid ha fatto quel che andava fatto. Egli non doveva rinunciare a diffondere la chassidùt per il rischio che da qualche parte venisse disprezzata. Se il figlio del re è gravemente ammalato e l’unica cosa che lo può salvare è una pozione ricavata dal grandioso diamante della corona, nessuno penserà due volte a togliere la pietra della corona, a tritarla e a farla bere al bambino perché guarisca. Anche a costo che solo una piccola goccia gli entri in bocca. Perché se lui morisse, né la pietra né la corona avrebbero più motivo di esistere».

Sarà, una pagina è caduta per terra, altre sarebbero state strappate dai mitnagdìm, altre ancora sarebbero state oggetto di disprezzo. Ma se una goccia di chassidùt entrerà nella bocca di ‘Am Israèl, che ne ha così tanto bisogno, allora vale la pena tutto.

Anche l’Alter Rebbe, come il Maghid, era stato colpevole di aver diffuso ciò che fino ad allora era stato esclusiva di pochi cabalisti e studiosi privilegiati. Di aver regalato al popolino tesori che forse non sempre avrebbe potuto apprezzare. Ma ne valeva la pena, anche a costo di pagare stando dietro le terribili sbarre dello Zar.

Il diciannove di kislèv gli fu dato l’OK. Lassù erano finalmente tutti giunti a un accordo. Lasciatelo fare. Ora il mondo è pronto. E se non lo è, sapranno lui e i suoi successori far sì che lo sia. Sapranno loro come dare ad ‘Am Israèl la luce di cui ha tanto bisogno in questo amaro galùt.

Per questo motivo Yud Tet Kislèv non è una festa esclusivamente per i chassidìm Chabàd. È la festa di tutto ‘Am Israèl, anche di chi non lo sa ancora. È il giorno in cui si celebra la diffusione degli insegnamenti della chassidùt in scala enorme. La prigionia e la liberazione dell’Alter Rebbe rappresentano quindi una grande svolta.

Creando il movimento Chabàd, l’Alter Rebbe affermò esplicitamente che la sua intenzione non era di fondare un “partito”, una setta o una comunità a parte. Il suo intento era di portare alla rivelazione della luce spirituale a tutto il popolo di Israèl. La sua prigionia e la sua liberazione non erano quindi eventi di portata personale, ma riguardavano e riguardano tuttora tutti noi.

La chassidùt è parte integrante della Torà, diffusa allo scopo di portare Mashìach e la Redenzione al mondo. Così come nelle diverse epoche della nostra storia era giunto il momento di pubblicare la Mishnà o il Talmùd, le opere dei rishonìm o gli scritti dell’Arì Zal – è giunto anche il momento di lasciare che la luce di Mashìach illumini il mondo e di gustare le delizie dei segreti della Torà, che verranno rivelate pienamente da Mashìach stesso.

La chassidùt è un tesoro che spetta a ciascun ebreo, da quello semplice al genio della Torà, dagli eruditi agli ignoranti. Essa fa vivere l’anima, disseta la mente e la irrora di abbondante conoscenza della saggezza di Hashèm e di amore per Lui; colma l’uomo di vera e profonda felicità e gli infonde l’entusiasmo che deve accompagnare ogni sua mitzvà, ogni istante della sua vita.

La chassidùt è la vitalità interiore della Torà.