“Non giudicare gli altri” è un detto che sentiamo dire molto spesso. Anche la Mishnà (Avòt 2, 4) ci ammonisce dicendo “non giudicare il tuo prossimo finché non ti trovi al suo posto”. Il problema è che a volte non c’è scelta e siamo obbligati a giudicare gli altri o a nominare dei giudici che lo facciano.
Il verso con il quale si apre la Parashà di questa settimana ci istruisce a nominare “giudici e amministratori” in ogni città. Contemporaneamente la Torà parla di norme e regole che definiscono e limitano il potere dei giudici e dei tribunali per assicurare che il giudizio venga eseguito con cautela e sensibilità.
Un esempio calzante — anche se estremo — di questa sensibilità potrebbe essere il seguente caso del “criminale indifensibile” e la legge che viene applicata al suo riguardo.
Secondo le norme legislative della Torà un crimine molto grave viene giudicato da un tribunale di ventitrè giudici chiamato il “sinedrio minore”.
All’epoca, dopo aver sentito i testimoni, gli stessi giudici si dividevano in due gruppi. Quelli convinti dell’innocenza dell’accusato diventavano i suoi difensori e cercavano di dimostrare la logica della loro posizione, mentre i giudici propensi a condannarlo portavano le loro prove.
A questo punto si votava. Un solo voto di maggioranza era sufficiente per scagionare l’accusato, mentre una maggioranza di almeno due era necessaria per condannarlo.
Nel caso che tutti i ventitrè giudici fossero convinti della colpevolezza dell’accusato, per esempio se il crimine fosse talmente chiaro che nessun membro del Sinedrio avrebbe potuto trovare una logica secondo la quale si sarebbe potuto scagionare il criminale, la legge della Torà dice che l’accusato non può più essere condannato.
In uno dei suoi discorsi, il Rebbe di Lubavitch spiegò la logica di questa norma. Non esiste un uomo talmente malvagio che non si possa trovare nessun argomento in sua difesa. Esiste sempre una spiegazione, una giustificazione o una prospettiva sotto la quale si può vedere un raggio della bontà della sua anima. Certo, questo non vuol dire che ogni crimine diventa innocente; a volte le circostanze portano ad una condanna e a volte no. Ma il fatto che nessun membro del tribunale riesce a percepire il lato innocente della persona indica che la corte stessa non capisce bene chi è la persona e che cosa ha fatto. In effetti, il tribunale si è auto-squalificato dal giudicare questa persona del quale vedeva solo il male.
Questa è una lezione per i giudici. Per noialtri, ricordiamo la Mishnà: “non giudicare il tuo prossimo finchè non ti trovi al suo posto”…
Basato sulle opere del Rebbe di Lubavitch זי“ע
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