Porgete orecchio, o cieli e Io parlerò; ascolta, o terra le parole dalla mia bocca (Devarim 32, 1).
Sifrì porta varie interpretazioni al primo versetto della parashà di Ha’azìnu (cf Sifrì Ha’azìnu 306).
La prima insegna che Porgete orecchio, o cieli è detto perché la Torà fu data dai Cieli, come è scritto: Hai visto che ti ho parlato dai cieli e prosegue poi dicendo che nel versetto si menziona anche la terra, ascolta, o terra le parole dalla mia bocca, perché il popolo stava sopra di essa quando disse: Faremo e ascolteremo quanto D-o ha detto.
Un’altra interpretazione, che scinde in due la frase, così si esprime: riguardo la prima parte della citazione è stato detto così perché il popolo non osservava le mitzvòt che coinvolgono i cieli, specificando che si tratta qui di quelle norme che determinano la durata dell’anno, l’inizio del nuovo mese e quindi permettono di stabilire il calendario delle feste, come è scritto: Esse saranno per voi come segni per le feste, i giorni e gli anni.
Ascolta, o terra… questo invece è detto perché il popolo non osservava le mitzvòt riguardanti la terra quali: peà – l’angolo del campo lasciato per i poveri, terumòt – le offerte, maattòt – la decima, shemità – l’Anno Sabbatico – e Yovèl – il Giubileo.
Una terza interpretazione ancora pone l’accento sul fatto che Porgete orecchio, o cieli è detto perché il popolo ebraico non osservava tutte le mitzvòt riguardanti i cieli, così come non osservava tutte quelle riguardanti la terra. Altri ancora, esaminando l’intero versetto, osservano che Moshé chiamò per gli ebrei due testimoni, i cieli e la terra appunto, che esisteranno per sempre. Egli, infatti, disse al popolo: «Io sono un essere mortale, domani morirò. Se qualcuno viene e dice: “Noi non accettiamo la Torà” chi vi si opporrà? Tuttavia per questo io chiamo due testimoni che esisteranno per sempre». Questa lettura del testo, che spiega l’affermazione finale di Moshé dicendo che egli stesso chiamò come testimoni contro il popolo ebraico proprio i cieli e la terra, non è un’interpretazione nuova, ma si sovrappone alle precedenti senza contrasti rendendo conto e spiegando l’intero passo. Proprio per ciò Rashi, nel suo commento alla Torà, riporta solo questa riflessione finale, poiché assomma e include ogni altra spiegazione.
Le precedenti interpretazioni riflettono differenti approcci al nostro servizio Divino, tuttavia esse non sono in conflitto, come potrebbe sembrare a un primo approccio: piuttosto ciascuna sottintende, evidenziandola, una prospettiva particolare, che evidentemente non è quella principale secondo l’altra lettura, ma non ne viene esclusa.
Dopo aver riportato ciò Sifrì ribadisce ancora a mo’ di conclusione che Moshé chiamò come testimoni i cieli e la terra.
Prima di tutto che differenza c’è tra la seconda e la terza interpretazione? Entrambe sembrano affermare il medesimo concetto, al punto che alcuni pensano che l’inclusione della terza spiegazione possa essere un errore testuale; il fatto, però, che sia inclusa in antichi manoscritti e riportata sul Sifrì fin dalle sue più antiche versioni non dà credito affatto a quest’idea.
In realtà ci sono sottili differenze tra le due: nella seconda le mitzvòt che sono rivolte ai cieli sono menzionate singolarmente e lo stesso accade per quelle che riguardano la terra. Non è questo il caso della terza interpretazione che menziona: «tutte le mitzvòt che riguardano i cieli» e «tutte le mitzvòt che riguardano la terra», implicando che tutte le mitzvòt hanno una connessione con cieli e terra.
Per capire correttamente il passo è necessario far riferimento alle implicazioni riguardo al servizio Divino a cui ciascuna delle due interpretazioni allude.
Appoggiandoci alla seconda: qual è l’implicazione per il servizio Divino del fatto che vi siano alcune mitzvòt che sono associate ai cieli e altre alla terra? Riferendoci alla terza, poi: qual è l’implicazione del concetto che tutte le mitzvòt mostrano una connessione sia con i cieli sia con la terra?
A questo punto, però, si presenta un’ulteriore difficoltà. La seconda interpretazione dice: Porgete orecchio, o Cieli si riferisce a quelle mitzvòt che coinvolgono solo i cieli, mentre l’altra parte del versetto: ascolta, o terra… si riferisce solo alla terra; sembrerebbe allora, esaminando il commento di Rashi che considera le due letture complementari e non conflittuali, sommandole e procedendo oltre su questa base, che per queste mitzvòt sia necessario un solo testimone, ovvero uno, singolo per i cieli, e uno, singolo per la terra. Questo, però, è contrario alle leggi della Torà, che richiedono sempre la presenza contemporanea di due testimoni. C’è, però, un’altra difficoltà comune a tutte e tre le interpretazioni.
La Torà e le mitzvòt in essa contenute fu data da D-o che è incomparabilmente più alto dei cieli e della terra. Quando si vuole spingere gli ebrei all’osservanza sembrerebbe più appropriato porre enfasi appunto sul fatto che Torà e mitzvòt furono date da D-o. Questo concetto è ben evidenziato nelle benedizioni che si recitano prima di iniziare lo studio della Torà, con le quali rivolgiamo la nostra preghiera a D-o che ci ha dato la Torà; come pure nelle benedizioni che si recitano prima di fare una mitzvà, in cui preghiamo D-o che ci ha dato le mitzvòt. Queste benedizioni non menzionano il fatto che la Torà fu data dai cieli alla terra o che fu data agli ebrei sulla terra.
È vero che il versetto Porgete orecchio, o Cieli… implica anche che se il popolo ebraico osserva la Torà e le mitzvòt D-o si servirà di cieli e terra come intermediari per provvedere a loro con una ricompensa. È questo, tuttavia, il significato appropriato dell’indurre un ebreo all’osservanza di Torà e mitzvòt?
Questa domanda è tanto più pregnante per il fatto che la parashà di Haazìnu si legge sempre durante i dieci giorni di teshuvà (o nei giorni tra Kippur e Sukkòt). Durante questi periodi dell’anno, dunque, in cui il servizio Divino degli ebrei emana dalle dimensioni assolutamente interiori dell’anima, sicuramente è necessario porre il massimo impegno nello studio dei problemi inerenti a questi argomenti.
Tratto dai discorsi del Rebbe di Lubavitch
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