Nel canto di Mosè in questa parashà viene descritto nella maniera seguente il legame tra D-o e il Suo popolo: “Poiché possesso del Sign-re è il Suo popolo, Giacobbe è
il Suo speciale retaggio” (Devarìm 32, 9). Il paragone alla fune allude anche a significati molto profondi.
L’anima è come una fune perché è il legame che permette la connessione tra l’uomo, che si trova in questo mondo, e il proprio Creatore.
Questa fune potrebbe indebolirsi a causa dei peccati, rendendo più debole anche il legame da esso rappresentato. La serietà dell’indebolimento della “fune” si esprime in due aspetti.
La fune che è l’anima, è composta da seicentotredici fili (il numero delle mitzvòt). Qualora si trasgredisca una delle mitzvòt, un piccolo filo si stacca. La mancanza del filo indebolisce anche una fune grande.
Il secondo aspetto sottolinea ancora di più la gravità dei peccati: Quando un ebreo investe le sue qualità in un attività, una parola o un pensiero negativo (cioè pecca), “tira” con sé anche coLui che si trova all’altro lato della fune...
È a questo che si riferisce la Kabalà quando parla di energia Divina che viene dirottata verso destinazioni non buone. L’energia dell’uomo, che deriva dalla propria anima, è santa e Divina, e quando viene utilizzata per “negatività”, è come se fosse una parte del Divino che viene forzata a far parte delle “forze di oscurità”.
Questi due aspetti della metafora della fune rappresentano due piani nel legame uomo-Creatore. Il primo è quello che può essere comunque spezzato ma il secondo è talmente forte che rimane intatto anche durante il momento del peccato.
È proprio attraverso questo stesso legame che è possibile la Teshuvà, il ritorno. Proprio perché il legame esiste ancora, D-o farà sì, in qualunque modo, che la persona torni verso Lui.
Basato sulle opere del Rebbe di Lubavitch, Z”L
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