Reduce di un'operazione non facile per un uomo di novantanove anni, Avrahàm si rilassa cercando di riprendersi dalla milà. Ad un certo punto gli viene concesso un grande premio: una visione profetica, il Sign-re si rivela ad Avrahàm! Che onore! Che piacere sublime!

Ma qualcosa distoglie quasi subito l'attenzione di Abramo. Sull'orizzonte vede arrivare dei forestieri. Mah, potrebbero anche aspettare un attimo mentre Abramo si occupa di questioni un po' più... elevate. Abramo ci sorprende però. Si rivolge agli ospiti e li invita, li fa preparare da mangiare e li serve. Solo dopo gli rivelano la loro vera identità. Sono angeli inviati a portargli dei messaggi specifici.

Il commentatore Rashì si sofferma sullo sviluppo degli eventi traendone una lezione (citata dal Talmud Shabbàt 127a): L'accogliere ospiti è considerata una mitzvà talmente importante che ha la precedenza anche rispetto all'accogliere la presenza divina!

Incredibile. La Presenza Divina appare ed io mi scuso per andare ad occuparmi di semplici mortali!

In realtà su quella pagina del Talmud viene riportato un discorso molto più "banale" o "tecnico" che riguarda le leggi dello Shabbàt. In alcune situazioni è permesso smuovere delle quantità di materiale, cosa normalmente vietata durante lo Shabbàt. Una di queste situazioni è quella del dover allargare gli spazi per accogliere degli ospiti. Appoggiandosi a questo discorso, alcuni maestri parlano della grandezza di questa mitzvà (quella di accogliere gli ospiti) arrivando poi a citare la frase sopra citata.

Qual è il vero senso di questa frase? È un'indicazione di legge (halachà)? Come si applica questa halachà visto che è difficile definire cosa sia l'accoglienza della Presenza Divina? È forse un modo per insegnare alla gente con quale serietà dovrebbe affrontare il problema di ospitare a casa chi non ha la possibilità di acquistarsi da mangiare? Entrambe le opzioni (e altre) possono trovare la loro validità.

Potrebbe essere che la frase appartenga al mondo della Agadà (o midrash). Se la Halachà definisce il "come" della vita ebraica, razionalizzando, ponendo definizioni, misure, pesi e limiti esatti, la Agadà cerca di trasmettere lo spirito delle cose e il sentimento del cuore che si esprime negli atti che, privi di quello spirito, rimarrebbero atti vuoti e secchi. Lo spirito è difficilmente definibile e anche la definizione di alcune parti della Agadà a volte rimane oscura. La scelta del tema da parte del maestro dipende senza dubbio anche da chi sono gli interlocutori, qual è il contesto generale e specifico del discorso e molti altri fattori.

A volte è possibile approfondire ulteriormente la Agadà con un senso mistico. A nome dell'Arì si dice che la maggior dei segreti della Torà sono nascosti nella Agadà, ma è chiaro che senza la guida giusta è difficile trovarli.

Uno di questi segreti lo spiegano i maestri della mistica proprio in riferimento alla nostra citazione.

La Presenza Divina qui citata, spiegano, si riferisce alla manifestazione divina più "bassa", nel senso che è una manifestazione non chiara e portata al livello della persona che la riceve. Anche i profeti non vedono "D-o stesso" ma solo un "raggio" molto lontano dalla fonte. Avrahàm meritò questo "raggio". I nostri maestri ci stanno insegnando che la mitzvà, in quanto rappresenta il Volere del Sign-re, ci mette in contatto diretto con Lui. La mistica considera questa esperienza più elevata della rivelazione profetica che contrae la luce Divina per poter essere accolta dall'uomo. Ogni volta che facciamo una mitzvà il contatto è diretto con l'essenza del Creatore.

Quindi, "accogliere ospiti è più importante di ricevere la Presenza Divina".

Allora, chi viene a cena?