Yossef viveva in Egitto e lavorava per un alto dignitario dell’impero del Faraone, Potifar, la cui moglie, invaghitasi del giovane e aitante ebreo, tentò ripetutamente, ma senza successo, di sedurlo. Giunse il giorno in cui egli “Entrò nella casa di Potifar per svolgere la sua mansione e nessuno dei servitori era presente. Lo afferrò per il mantello e lo supplicò “ vieni con me”. Yossef scappò lasciando il suo mantello tra le sue mani e si precipitò all’esterno” (Genesi 39;11-13).

Umiliata e infuriata, si servì del mantello quale prova compromettente da usare contro Yossef. Raccontò al marito che questi cercò di abusare di lei. Potifar lo fece incarcerare ma, per uno "strano" concorso di circostanze, fu liberato e nominato nientemeno che viceré d’Egitto. Una domanda s’impone: per quale ragione questo aneddotto viene riportato nei minimi dettagli in questa parashà, allorché l’obiettivo principale di questi capitoli è quello di narrare l’arrivo della prima famiglia ebraica in Egitto?

Il Midrash chiede e spiega: “Quale mansione doveva svolgere Yossef in quella casa? Il lavoro consisteva nel cedere all’insistenza della donna egizia, le cui continue suppliche riuscirono a persuaderlo. Ciònonstante, al momento in cui l’unione si stava concretizzando, il viso del padre gli apparve improvvisamente ed egli fuggì da quella casa.

Yossef viveva in Egitto e lavorava per un alto dignitario dell’impero del Faraone, Potifar, la cui moglie, invaghitasi del giovane e aitante ebreo, tentò ripetutamente, ma senza successo, di sedurlo. Giunse il giorno in cui egli “Entrò nella casa di Potifar per svolgere la sua mansione e nessuno dei servitori era presente. Lo afferrò per il mantello e lo supplicò “ vieni con me”. Yossef scappò lasciando il suo mantello tra le sue mani e si precipitò all’esterno” (Genesi 39;11-13). Umiliata e infuriata, si servì del mantello quale prova compromettente da usare contro Yossef. Raccontò al marito che questi cercò di abusare di lei. Potifar lo fece incarcerare ma, per uno "strano" concorso di circostanze, fu liberato e nominato nientemeno che viceré d’Egitto. Una domanda s’impone: per quale ragione questo aneddotto viene riportato nei minimi dettagli in questa parashà, allorché l’obiettivo principale di questi capitoli è quello di narrare l’arrivo della prima famiglia ebraica in Egitto?

Il viso di Yaakov.

Il Midrash chiede e spiega: “Quale mansione doveva svolgere Yossef in quella casa? Il lavoro consisteva nel cedere all’insistenza della donna egizia, le cui continue suppliche riuscirono a persuaderlo. Ciònonstante, al momento in cui l’unione si stava concretizzando, il viso del padre gli apparve improvvisamente ed egli fuggì da quella casa.”

Rittratto psicologico di Yossef.

Yossef era uno schiavo diciottenne in un paese straniero. Non era neanche padrone del suo corpo in quanto Potifar esercitava un assoluto controllo sulla sua vita. Non possedeva un solo amico. Non viveva con lui neanche un membro della sua famiglia. Era orfano di madre (Rachel) dall’età di nove anni e suo padre lo credeva morto. Alcuni dei suoi fratelli, rosi dall’invidia, lo vendettero quale schiavo rubandogli crudelmente la sua gioventù.

Non è difficile immaginare il sentimento di solitudine che prese il sopravvento nel cuore dello Tzaddik e che lo espose a potentissime tentazioni (sebbene, in extremis, egli riuscì a sfuggirne). Qual è il segreto della rettitudine morale di Yossef? Cosa indusse un disperato e fragile giovane ad opporsi a richiami irresistibilmente attraenti? Il viso di Yaakov! Sì, il viso del padre gli infuse lo straordinario coraggio che gli permise di reprimere i suoi impulsi e di affrontare una donna estremamente pericolosa ed influente. Ma come ciò è potuto accadere? Yaakov viveva lontano, ignorando che il figlio fosse vivo. Cosa si nasconde dietro la magica apparizione del suo viso?

Il momento unico di Adam.

Secondo il Talmud, “La bellezza di Yaakov era il riflesso della bellezza di Adam Harishòn (Adamo)”. Quando Yossef vide il padre, gli apparse contemporaneamente il viso di Adam. Quest'ultimo ricevette l’ordine da Hashem di astenersi dal mangiare i frutti dell’albero della conoscenza e la sua disobbedienza alterò per sempre il decorso previsto da D-o per l’umanità e il mondo intero. A prima vista, egli commise un atto insignificante. Ma le conseguenze della sua trasgressione vibrano fino ad oggi nella coscienza umana, in quanto ogni essere umano fa parte integrante del nodo che unisce il Cielo alla terra! D-o si scelse come socia l’umanità per la guarigione del mondo. Con ogni nostra mossa possiamo ridurre oppure intensificare le forze del male.

Ma l’elemento Divino è presente in ogni nostra decisione e, seguendo l'inclinazione Divina che c’è in ognuno di noi, possiamo vincere il male. Alla vista di Adam, Yossef riscoprì in se stesso una dignità incrollabile, come un'immensa candela di Hashem constantemente accesa a livello cosmico. E ciò gli rammentò che ogni azione commessa da un solo individuo può sconvolgere il corso della storia. Ecco perchè la Torà riferisce con cavilllosa precisione la vicenda personale di Yossef che altro non è che un conflitto interiore. In momenti di diperazione e solitudine, quando ci sembra che nessuno si preoccupi di noi, quando ci sentiamo abbandonati in un universo immenso e indifferente, non dobbiamo mai trasformarci in facile preda di una momentanea gratificazione immorale. Basta aprire gli occhi e scorgere il viso del proprio padre e sentirlo bisbigliare alle nostre orecchie parole di incoraggiamento. Anche nostro Padre in Cielo è presente e ci assiste, ma Egli ha bisogno della nostra partecipazione per mandarci Mashiach!