Tutto Israèl ha l’obbligo di mettere in pratica la mitzvà positiva comandata dalla Torà di odiare ‘Amalèk e i suoi discendenti. Tutti devono insegnare ai propri figli, in ogni generazione, ciò che ‘Amalek ci fece appena uscimmo dall’Egitto. L’obbligo relativo a questa mitzvà sarà completamente assolto solo quando sarà possibile obliterare completamente la memoria dell’esistenza di ‘Amalèk, e non vi sarà alcun discendente dalla sua stirpe tra le nazioni della terra.
Ricordati di ciò che ti fece ‘Amalèk quando eri in viaggio, allorché uscisti dall’Egitto, che ti assalì sulla strada e colpì tutti coloro che, affranti, erano rimasti indietro, mentre tu eri stanco e sfinito e non temette D-o. E quando il Sign-re tuo D-o ti darà tregua da tutti i tuoi nemici all’intorno nella terra che sta per darti in eredità, perché tu ne prenda possesso, cancellerai il ricordo di ‘Amalèk di sotto il cielo: non dimenticarlo! (Devarìm 25, 17-19).
I Maestri insegnano: cancellerai il ricordo… è da intendersi in senso letterale, lo annienterai, non dimenticarlo!
I Saggi stessi stabilirono che questo passo fosse letto in pubblico ogni anno nello shabbàt che precede Purìm. Il tempo specifico fu deciso in modo che l’obliterazione del nome di ‘Amalèk sia immediatamente seguita da quella del nome di Hamàn, che fu suo discendente.
Questo passo è letto regolarmente nel contesto della parashà di Ki Tetzé, nondimeno è obbligo leggerlo anche prima di Purìm, poiché le due letture sono fatte con un diverso intento. Quando il brano è letto come parte di parashàt Ki Tetzé, l’intento è quello di portare a compimento la mitzvà relativa alla lettura settimanale della Torà; quando lo si legge prima di Purìm, invece, il nostro intento è piuttosto quello di compiere la mitzvà di cancellare la memoria di ‘Amalèk.
Nello Shabbàt che precede la ricorrenza di Purìm si estraggono due sifré Torà: per il primo si fanno salire sette persone alla lettura della parashà della settimana, il settimo recita il Kaddìsh breve; il maftìr sale per il secondo sèfer Torà e legge, dalla parashà di Ki Tetzé, il brano di Zachòr et ashèr ‘assà lechà ‘Amalèk… fino a …lo tishkàch (Devarìm 25, 17-19).
Quando si sale a Sèfer si deve avere l’intenzione di adempiere alla mitzvà positiva decretata dalla Torà di ricordare ciò che ‘Amalèk fece agli ebrei e di cancellare quel personaggio negativo.
Colui che legge deve avere l’intenzione di far adempiere all’obbligo relativo a questa mitzvà tutto il kahàl.
Non si deve recitare il brano a bassa voce insieme al lettore, ma solo ascoltare in silenzio, con l’intenzione di adempiere alla mitzvà.
È opportuno usare il sèfer Torà più bello per la lettura della parashà di Zachòr.
Non si fa salire alla lettura della Torà un bambino che non abbia compito i 13 anni, ma nel caso sia già salito, reciti pure la benedizione per il Sèfer, quindi un chazàn, adulto, legga la Torà.
Se, però, è stato il bambino a leggere la Torà, il kahàl non ha adempiuto alla mitzvà di ascoltare la parashàt Zachòr.
È opportuno che anche le donne si rechino al tempio per ascoltare la parashà di Zachòr.
Dopo la lettura della parashà, chi sale come maftìr deve recitare il Kaddìsh breve e leggere la haftarà di Pakadtì et ashèr ‘assà ‘Amalèk (I Shemuèl 15).
È usanza recitare il poema Mi kamòcha veèn kamòcha nello shabbàt Zachòr; non è possibile, però, recitarlo in mezzo alla preghiera, dopo Nishmàt, o nelle benedizioni dello Shemà’, ma lo si può fare dopo il Kaddìsh Titkabel che si recita prima di estrarre il sèfer Torà, o dopo la lettura della Torà stessa.
Il poema Mi kamòcha veèn kamòcha, che si legge generalmente dopo la ripetizione della ‘Amidà di Shachrìt, prima dell’apertura dell’Hekhàl, è un inno composto dal grande poeta rabbi Yehudà Halevì (1075-1141).
Si tratta di una parafrasi della Meghillà di Estèr.
Il poema è composto da quattro parti; la prima, dopo la frase introduttiva, riporta all’inizio di ciascuna strofa le 22 lettere dell’alfabeto ebraico in ordine. La seconda riporta, sempre in acrostico, la frase: Io sono Yehudà Halevì il piccolo (aggettivo impiegato per esprimere umiltà) figlio di Shemuèl Halevì; la terza mostra ancora le lettere dell’alfabeto, mentre nella quarta si legge: Io sono Yehudà. Ogni strofa comprende quattro versi, l’ultimo dei quali è sempre una frase biblica che termina con la parola ebraica lo (a lui, gli). I primi tre versi di ogni strofa sono in rima. L’inno è preceduto da una frase che esalta la grandezza di D-o, ripetuta nuovamente in conclusione.
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