"Fa che tutte le tue azioni siano volte al Cielo." (2:12)

I commentatori collegano questa massima con quanto contenuto nei Proverbi (3:6): "In tutti i modi, conosci Lui". Vi è tuttavia una sottile differenza tra le due affermazioni, in quanto rappresentano due livelli successivi di osservanza. Se tutte le proprie azioni devono essere rivolte al Cielo, ciò significa che esse sono mezzi per raggiungere questo fine meritevole, ma esse stesse non sono celesti. ConoscerLo in tutti i propri modi significa che gli stessi mezzi devono essere considerati come fine e devono essere santi per lo stesso merito.

Un semplice processo fisico quale è il mangiare illustra come lo stesso atto può servire sia come mezzo che come fine. Si può mangiare per essere sani al fine di servire D-o, anche se il mangiare di per sè deve essere considerato parte dei regno delle cose materiali. Tuttavia, ci sono casi in cui il mangiare stesso diventa mitzvà e costituisce un fine, quale è il pasto di Shabbat o di Yorn Tov, o ad una simhà, un'occasione festiva, o nel caso della porzione consacrata nel servizio dei Tempio. Alcuni tra gli antichi Saggi, infatti, mangiavano solo ad un seudat mitzvà, un pasto che è una mitzvà.

Questi due modi di servire D-o dipendono dal grado della propria consapevolezza dell'unità di D-o. Quando ci si rende conto che, benchè la presenza D-vina sia nascosta, l'universo non è altro che una emanazione dei potenziale Divino, tutte le nostre azioni saranno rivolte al Cielo poichè ogni cosa diventa di secondaria importanza rispetto alla sua origine D-vina essendo stata creata a questo scopo. Se ci si rende conto che l'universo non è nulla oltre a D-o, si realizza che D-o deve essere manifesto anche nelle cose materiali. La materialità stessa diventa santa.

Da un altro punto di vista, si può affermare che questi due livelli sono basati sul grado di realizzazione dell'anima nel corpo. Quando il corpo e l'anima vengono visti come due realtà distinte, e l'anima dovrebbe giustamente dominare il corpo, i bisogni dei corpo perdono la loro indipendenza ed assumono significato solo se contribuiscono alla realizzazione dell'anima. Tutte le azioni saranno allora rivolte al Cielo. Il livello più elevato viene raggiunto quando l'anima viene illuminata attraverso il corpo stesso, come avviene a volte o potrebbe avvenire attraverso la disciplina, per diventare una unità integrata.

Questi sono tutti aspetti di un approccio chassidico all'Ebraismo.

Rabbi Tarfon dice: "il giorno è breve, il lavoro è molto, i lavoratori sono pigri, i salari sono elevati, ed il padrone è impaziente."

Egli era solito dire: "Non è tuo dovere completare l'opera ma non te ne puoi esimere". (2:15-16)

Può un giorno essere veramente breve? Paragonato all'anno, un giorno è breve, paragonato ad un secondo, è lungo. Se vi è molto da fare, non è abbastanza lungo. La durata è ralativa, in base a qualche informazione precedente. Avrebbe avuto più senso affermare: "Il lavoro è molto ed il giorno è breve". Inoltre; Rabbi Tarfon si contraddice quando dice che il giorno è breve ed il padrone è impaziente affinchè il lavoro venga terminato, mentre in seguito afferma che non è necessario terminare il lavoro.

Quando si serve D-o con spirito di devozione il giorno è sempre breve, senza neanche aver bisogno di sapere quanto sia il lavoro da compiere. Siamo sempre spinti a fare di più, ad essere maggiormente coinvolti, e troveremo sempre abbastanza da fare. Ora, ciò potrebbe essere frustrante, perciò il nostro maestro continua affermando che l'importante non è terminare il lavoro, in quanto il lavoro stesso è un fine.

E anche se non trovassimo alcuna realizzazione in questo tipo dì opera, la dobbiamo progredire fedelmente. Non siamo liberi dall'esentarcene.

Tratto dal Lubavitch News, traduzione di Michele Boccia.