È martedì, ma è veramente martedì? Supponiamo che un governo ricco d'inventiva decidesse di eliminare i Martedì e di ridurre la settimana a sei giorni. Oppure supponiamo che un Ebreo naufragato sia capitato inconsapevolmente su di un'isola deserta. Ritornando in sé, scopre di avere totalmente perduto il senso del tempo. Non sa quanti giorni è stato privo di conoscenza. Oggi è domenica o lunedì? O forse martedì? La questione cruciale è quando celebrare il sabato.
Da un punto di vista ebraico, il tempo non è lineare. Non lo vediamo come se fosse suscettibile di divisione arbitraria. Lo vediamo piuttosto come funzione ciclica. I nostri giorni e settimane ed anni passano in un'elica a spirale del tempo. Ogni spazio di tempo è definito non solo dal prima e dal dopo, ma anche dal superiore e dall'inferiore.
Il tempo iniziò con la creazione di questo mondo. La prima spirale dell'elica si compiva col settimo giorno: lo Shabbat. il compimento del mondo creato e del tempo creato era segnato da una effusione di Divinità - un'onda di consapevolezza della presenza di D-o, nel sabato del tempo.
Non c'è completezza o fine. Infatti, in ogni frazione di tempo, D-o continua a sostenere e rinnovare la sua creazione. Comunque, c'è una dìrezione - un flusso verso la completezza. Come i nostri sentieri del tempo ci portano di nuovo, ed ancora, ogni settimo giorno, allo Shabbat primordiale, così ogni sabato entriamo in una zona di completezza e di vibrante consapevolezza di D-o, che fa del sabato, sabato.
Shabbat è un fenomeno reale nell'ambito delle dimensionì del tempo. Se in un'isola deserta avessimo perso il senso del tempo, dovremmo fare due cose. Innanzitutto dovremmo stabilire il nostro riconoscimento del polso della creazione santificando ogni settimo giorno, e secondariamente, riconoscere la possibilità che ognuno dei giorni della settimana potrebbe essere il vero Shabbat, e modificare in conseguenza le nostre attività. Le avventure di Robinson Crosue sarebbero lette in modo ben diverso, se l'eroe fosse stato un ebreo osservante!
I primi due Comandamenti e lo Shabbat
Adesso che abbiamo stabilito che lo Shabbat è realmente nell'ambito della dimensione del tempo, come lo riconosciamo tra gli altri sei giorni della settimana? Cosa fare o non fare in questo giorno e perché?
Il punto essenziale è che noi Ebrei osserviamo lo Shabbat perché ne ricevemmo l'ordine. Noi, come popolo, abbiamo direttamente sperimentato le due parole di D-o sul monte Sinaì: «Io sono» e «Non avrai altro». Il popolo ebraico sentì queste due elettrizzanti correnti quando salì verso il suo D-o e quando D-o scese verso di lui.
«Io sono» e «Non avrai altro» sono i primi due Comandamenti della Torà. I Comandamenti rappresentano i due tipi di mizvot: le positive («Il fare», come ad es.: Onora tuo padre e tua madre) e le negative («Il non fare», come ad es.: Non rubare). «Io sono» rappresenta tutte le mizvòt positive, dirette alla ricerca di D-o, mentre «Non avrai altro» caratterizza tutte le nostre tangenziali percezioni di D-o che scaturiscono dall'allontanamento da specifiche aree di attività, le cosiddette mizvot «negative». Nell'ordinarci di osservare lo Shabbat (il Quarto Comandamento) la Torà usa una volta la parola «zachòr» e un'altra volta «shamòr» - ricorda e custodisci.
Il custodire lo Shabbat riflette il punto di vista tangenziale - la costruzione dei muri di protezione, tutte le mizvot negative dello Shabbat.
Il ricordare lo Shabbat costituisce l'approccio alla ricerca di D-o - piantare il giardino entro le mura di protezione - dire il Kiddush, accendere le candele.
I saggi dicono che «shamòr» e «zachòr» furono dette simultaneamente. Le mizvot positive e le negative, dello Shabbat, sono legate inestricabilmente. È questo unico legame dell'attento rispetto («Il non fare») e dell'amore senza limite («Il fare»), che fa dello Shabbat una mizvà che incombe ugualmente sull'uomo e sulla donna, sebbene, generalmente, un comandamento positivo con tempo di esecuzione fisso non è d'obbligo per la donna. Tuttavia, nello Shabbat non possiamo isolare gli elementì puramente positivi, e di conseguenza dobbiamo adottare la regola più totale del comandamento negativo e renderlo impegnativo per tutti.
Venerdì sera
Noi ricordiamo giornalmente lo Shabbat chiamando in ebraico domenica «il primo giorno», lunedì «il secondo giorno»; sono il primo e il secondo giorno dopo lo Shabbat, nonché il primo e il secondo che precedono lo Shabbat seguente. Verso la fine della settimana lo Shabbat assume una realtà molto tangibile nelle nostre vite. Viene cotta la challà, il cibo è preparato, la casa pulita ed abbellita. Già dal venerdì pomeriggio, quasi tutto è pronto - il «cholent», la pietanza di carne e fagioli mantenuta calda sulla piastra metalli ca sopra il forno, dal venerdì po meriggio fino allo Shabbat a pran zo, è l'ultima importante preparazione. Tutto è fatto in onore del comandamento divino di onorare lo Shabbat. Non è una semplice attività settimanale, ma piuttosto la struttura di uno dei più importanti veicoli nella vita ebraica - la casa - per il viaggio nel sacro giorno dello Shabbat. Nel tardo pomeriggio del venerdì, il sole è tra gli alberi, le donne e le ragazze iniziano il loro Shabbat con l'accensione di una fiamma. Le donne sposate accendono due candele, se hanno figli possono aggiungerne una per ogni figlio. Le bimbe, da quando possono recitare le benedizioni (tre anni) accendono una candela. L'argento ed il vetro riflettono le fiamme di pace e di amore, la tavola e la casa sono colme di luce calda e tranquilla. Con l'accensione delle candele e la pronuncia delle benedizioni esprimiamo il nostro riconoscimento fisico ed intellettuale dello Shabbat appena iniziato.
Gli uomini hanno un compito diverso. Nella Sinagoga hanno prima pregato Minhà (la funzione del pomeriggio).
Quando, appaiono le stelle, recitano la Kabalat Shabbat, il ricevimento dello Shabbat. La formale ricezione simbolica è un'usanza di cui leggiamo nel Talmud, ma è entrata a far parte del nostro libro di preghiere soltanto 400 anni fa, quando i Kabalisti di Safed dimostrarono la sua intensità e commovente bellezza al mondo ebraico. Le sue melodie e il contenuto delle stesse lo rendono la funzione più amata dello Siddur (libro di preghiere). La Kabalat Shabbat è seguita da «ma’ariv o arvit», la funzione serale.
Poi verso il tepore della casa, verso le mogli sorridenti e i bambini sonnecchianti. L'ospite dello Shabbat (una delizia indispensabile durante questo giorno) ci accompagna a casa. Un bicchiere di vino, il kiddush, il pasto imbevuto dalla santità del giorno. Il pasto stesso è formale, challà; pesce e carne. I discorsi dello Shabbat a tavola, la parascià della settimana, un nuovo pensiero, parola di un rabbino, una vecchia nenia piena di ricordi, gli inni e le canzoni sabbatici. Poi, nella notte tarda, la conclusione della cena con la canzone scritta da Mosè, Giosuè, Davide, Salomone: Il ringraziamento dopo il pasto.
Il giorno dello Shabbat
Il mattino dello Shabbat è completamente diverso. È luminoso, chiaro e acuto. La preghiera è leggermente più lunga. Dopo la lettura della Torà, il Rabbino illustra una parte della Torà stessa mostrandone la sua rilevanza nella nostra vita. È una lunga mattina ma sembra passare rapidamente. L'ultima preghiera è il «Musaf» (funzione addizionale che richiama l'ordine parallelo di devozione che era condotto nel Beit Hamikdash). Poi a casa per il secondo pasto di Shabbat.
La prima colazione di Shabbat non conta veramente: una tazza di tè o caffè, e forse, un pezzo di dolce. Viene detto il kiddush su un bicchiere di vino, seguito dal lavaggio delle mani con la recitazione dell'apposita benedizione; si fa poi un'altra benedizione sulla challà, e segue un pasto delizioso con la famiglia, e se siamo fortunati, con uno o due ospiti.
Il secondo pasto dello Shabbat è caratterizzato da ottimo umore, da canti e da parole di Torà. È un momento propizio per esplorare la Halachà (legge ebraica). Tali esplorazioni iniziate durante il pasto culminano spesso nel pomeriggio. Alcuni tentano di riposare; altri studiano, altri semplicemente godono la famiglia. Nessuno corre, nessuno sembra teso. Tuttavia tutti sembrano partecipare attivamente alle attività della giornata. Il sole è calato. È il momento di Mincha, e di una breve lettura della Torà. Poi il terzo pasto, la Seuda Shlishit. Siamo ormai nello Shabbat inoltrato e lo si sente. A questo punto, forse con una nenia, si può penetrare la vera essenza dello Shabbat. Il sole è calato ancora. Nell'oscurità brillano le prime stelle. Maariv e poi con la Avdalà, il riconoscimento formale della fine dello Shabbat. Si sente che il giorno è finito. Si può cercare di prolungarne il sapore per altre poche ore, ma, mentre si godono queste ore ci si rende conto che un'altra settimana è passata!
Shabbat e il Mishkan
Abbiamo fatto un rapido schizzo dell'ordine del giorno. Ma che dire del suo sapore? Abbiamo detto prima che lo Shabbat occorre shamòr Vesachòr, custodire e ricordare, costruire mura e piantare all'interno di queste. Quando eravamo nel deserto, D-o ci disse di costruire una notevole struttura - il Mishkan (Tabernacolo). Il Santuario nel deserto (precursore del Sacro Tempio) doveva essere un'espressione del nostro amore verso D-o e dei piacere di eseguire i Suoi desideri. La presenza di D-o avrebbe risieduto nel Mishkan e da lì sarebbe emanata nel resto del mondo.
Immediatamente dopo aver descritto come dovevano apparire le strutture del Mishkan, la Torà ci presenta improvvisamente un'altra direttiva: lo Shabbat. Di Shabbat doveva cessare la costruzione del Mishkan il più grande sforzo della mano d'opera e dell'arte del nostro popolo. Questa è un'affermazione molto profonda sul Mishkan e lo Shabbat. In ogni secondo dello Shabbat che trascorre riconosciamo ed affermiamo che non siamo nel mondo dei sei giorni, ma in una zona di realtà con leggi e caratteristiche diverse. In modo specifico tutti i tipi di espressione adoperati per la costruzione e il mantenimento del Mishkan, sono sospesi di Shabbat. In quel giorno, lo stesso Mishkan si integra nel giorno stesso. Queste specifiche categorie di costruzione - «melachòt» sono le opere che devono essere evitate di Shabbat. Queste categorie sono concetti della Torà nei suoi termini. ed hanno poco a che fare con le nostre nozioni di lavoro ecc.
Sono 39 categorie principali, generalmente suddivise in quattro ordini (che stranamente contengono lo stesso numero di elementi delle quattro sezioni del nostro tzitzit). Cominciando con l'aratura, continuiamo con la semina, il raccolto ecc. ... attraverso attività connesse con la preparazione di pelli e tinture, e finendo con il difficile concetto del trasporto tra un ambiente e l'altro. Tutto ciò sembra strano. inoltre, ogni vasta categoria racchiude un insieme di attività analoghe e derivate, che portano ad una lista altamente ramificata e numerosissima di attività. A prima vista, tutto sembra davvero molto strano. Tuttavia, mentre le esaminiamo, notiamo che costituiscono i limiti dell'esperienza dello Shabbat. Esse delimitano il mondo. Sbucciare una mela, immergere un mestolo in una pentola di cholent o tfina, fare una tazza di caffè istantaneo, la piccola conversazione che facciamo, diventa tutto improvvisamente oggetto di ragionamento e di decisione. Le regole dei sei giorni sono veramente superate da un insieme di regole totalmente differenti che governano il settimo giorno.
La verità è che, per quanto scomodo possa a volte sembrare, dobbiamo amalgamare la nostra visione di D-o con la visione di D-o che è incorporata nel corpo storico collettivo della nostra tradizione. L'atto della semina deve essere eseguito entro mura riconosciute, cioè le mura della legge ebraica, la Halachà, e non nello spazio della mente umana. Non è facile, ma Halachà significa letteralmente procedere, e così ci è prescritto di andare avanti in questo mondo, non da soli, in sentieri isolati, ma insieme con D-o e la congregazione di Israele. Di Shabbat ogni atto positivo e ogni atto di divieto deve essere eseguito secondo le regole della giornata. Uno studio serio ed attento dei confini dello Shabbat ci mostra che queste mura sono di marmo scintillante e non questioni caduche e monotone.
La Spezia che manca
Lo Shabbat è chiamato un segno - un segno chiaro ed evidente, un segno eterno tra D-o ed i figli di Israele. È una espressione di gioia per la Creazione. È un dono speciale che abbiamo ricevuto solo dopo la liberazione dalla schiavitù in Egitto. È stato custodito come un tesoro, nel quale ci siamo deliziati e che abbiamo amato. Nel Talmud si racconta una storia di un Romano che aveva una volta gustato il cholent in una casa di un ebreo povero, il Sabato. Il gusto di quel cibo gli piacque così tanto che portò a casa la ricetta e chiese ai suoi cuochi di prepararlo. Ma essi non vi riuscirono. Egli mangiò il cholent ma senza piacere perché non aveva alcun sapore. Chiese ai Rabbini: «Qual'è il problema? Che cosa manca?».
Gli dissero che mancava la spezia essenziale. «La spezia? Quale spezia?» chiese «Nella ricetta non era segnata alcuna spezia».
«No» gli risposero «probabilmente no, perché lo speciale ingrediente è lo Shabbat!».
Come tutte le spezie, lo Shabbat è difficile da descrivere con parole... dovete gustarlo. Non siate soddisfatti con vecchie polverine secche in fantasiose bottigliette. Esse hanno totalmente perso il loro gusto. Piuttosto, andate a vedere come le spezie crescono, raccoglietene di fresche ogni settimana e deliziatevi in esse.
Adattamento di Lino S. Haggiag z"l