Quando Rut decise di seguire Na’òmi per stabilirsi in una terra per lei straniera, in mezzo a persone che non aveva mai conosciuto, aveva intenzione di vivere come una serva finché sua suocera fosse rimasta in vita. Non avrebbe mai pensato di trovare marito nella terra della prestigiosa tribù di Yehudà. Poiché lei era una moabita, chi avrebbe mai accettato di sposarla, quando nella Torà è scritto: un moabita o un ammonita non entrerà mai a far parte della congregazione di D-o (Deuteronomio 23, 4)?

Così come una donna egiziana o una idumea non avrebbe mai potuto convertirsi alla religione ebraica, anche una moabita o una ammonita non avrebbe potuto farlo. Questo era quanto pensavano i saggi di Israele fino a quando Rut non sollevò la questione esprimendo il desiderio di entrare a far parte del popolo ebraico. I saggi discussero a lungo in merito alla questione, finché giunsero alla seguente conclusione: la Torà si riferisce esplicitamente a un moabita – non a una moabita; a un uomo ammonita ma non a una donna ammonita.

Del resto il versetto che segue il comandamento ne specifica la causa: poiché non vi sono venuti incontro con l’acqua e il pane sulla via dell’uscita dall’Egitto. Infatti, quando gli ebrei erano in procinto di entrare in Israele, chiesero a questi popoli di vendere loro pane e acqua, ma essi rifiutarono, anche se facendo questo piccolo favore avrebbero potuto guadagnare molte ricchezze. Ora, poiché non è abitudine né compito delle donne uscire incontro ai viandanti e offrire loro del cibo, le moabite e le ammonite non furono affatto responsabili del peccato dei loro uomini. Per questo motivo, quindi, il precetto non si riferisce a loro, bensì soli ai maschi.

Rut poté così entrare a far parte del popolo ebraico in modo totalmente conforme alla halachà.

Dopo la conversione di Rut, i saggi iniziarono a sollevare dei dubbi sulla validità della loro decisione e a esprimere il loro rammarico per quella scelta forse sbagliata, malgrado l’esemplare condotta di questa donna. Ma tutto ciò faceva parte del disegno divino: prima che nascesse l’unto di D-o (re Davìd, discendente di Rut) era necessario si presentassero ostacoli e impedimenti, affinché poi la sua luce si rivelasse inequivocabilmente nella sua più folgorante manifestazione. Prima di essere scelto come re di Israele da tutto il popolo, Davìd, avrebbe dovuto attraversare un periodo di paure e di dubbi poiché D-o voleva che l’esistenza di Davìd fosse caratterizzata da una grandezza spirituale estrema e da un’umiltà senza pari. Per questo il Signore fece incontrare Bò’az e Rut, i suoi bisnonni: Bò’az era il simbolo della grandezza spirituale, essendo a capo del Sinedrio e guida del popolo, Rut, invece, rappresentava l’umiltà meglio di chiunque altro: una donna appena convertita, una sconosciuta, una moabita che per molto tempo era stata costretta a cogliere le spighe rimaste sul campo, come prevede la legge ebraica per i meno abbienti. D-o solo conosceva anche gli aspetti più segreti della loro personalità: la grandezza spirituale di Rut e la modestia di Bò’az.

Solo due persone così grandi e pure avrebbero potuto ricevere da D-o il compito di generare un uomo come Davìd e quindi anche il suo discendente: Mashìach.