«E Giosuè sconfisse Amalek e la sua gente a fil di spada. Allora il Sign-re disse a Mosè: Scrivi in un libro di questo grande avvenimento e trasmettilo a Giosuè perché lo si ricordi: Io cancellerò del tutto la memoria di Amalek di sotto il cielo!» Il Sign-re giurò guerra ad Amalek di generazione in generazione!». (Esodo XVII - 13, 14, 16)
Amalek è stato il primo nemico che combatté Israele, durante il cammino di Israele verso il Monte Sinai, dopo la sua uscita dalla schiavitù egizia. Amalek attaccò la retrovia di Israele stanca ed affamata ma Giosuè, dopo alterne vicende, lo sconfisse. Da allora Amalek è stato il nemico emblematico e inconciliabile di Israele, il simbolo dei male attraverso i secoli, e la sua distruzione è considerata un sacro dovere religioso, essendo proibito dal Sign-re stesso di estendere pietà verso chi è totalmente dedicato alla distruzione di Israele. Il Sign-re giurò infatti di accettare proseliti di tutte le nazioni ad eccezione di Amalek.
«Quando dunque il Sign-re tuo D-o ti avrà dato tregua liberandoti da tutti i tuoi nemici attorno al paese che il Sign-re tuo D-o sta per darti in possesso ereditario, cancellerai la memoria di Amalek di sotto il cielo: non dimenticarlo!». (Deut. XXV - 19)
Tutte le tragedie sofferte da Israele sono considerate conseguenza diretta degli atti ostili di Amalek, ma Amalek può agire solo in conseguenza dei peccati di Israele. Ogni volta che gli ebrei hanno mancato al patto con D-o, è prevalso Amalek. Ogni lettera dell'alfabeto ebraico ha un valore numerico: La somma numerica delle lettere ebraiche nel nome di Amalek corrisponde alla somma delle lettere nella parola safèk, che significa dubbio. Ciò vuol dire, cabbalisticamente, che Amalek perdura fino a quando sussiste il dubbio e viene meno la fede nella parola dell'Eterno.
Una lotta decisiva tra Israele ed Agag - Re degli Amaleciti - avvenne durante la famosa guerra da parte del Re Saul. Per le proditorie imboscate di Amalek all'epoca dell'esodo, il Sign-re ordinò al Re Saul, attraverso il profeta Samuele, di effettuare una guerra di sterminio totale di Agag, estirpandone il ricordo dal tempo e dallo spazio. Per non aver eseguito completamento l'ordine D-vino, Saul perse il trono di Israele. Gli Amaleciti furono poi sconfitti da David e distrutti durante il regno di Ezechia, un re di Giuda che il Talmud definisce degno di essere il Messia, così come, secondo un'opinione rabbinica, il suo fu un vero e proprio regno messianico.
Ritroviamo altri discendenti di Amalek in Haman l'agaghita all'epoca di Ester e Mardocheo e in tiranni dello stesso Impero romano.
Capi di altri popoli saranno considerati discendenti di Amalek in varie epoche e la guerra contro di loro durerà, per volere Divino, fino alla venuta del Messia, quando il Sign-re stesso distruggerà i resti di Arnalek.
Si dice che nelle varie epoche esiste sempre un uomo giusto e saggio che potrebbe essere il Messìa. Rambam ha detto che il Messia non si deve riconoscere attraverso atti miracolosi. Non sappiamo quindi chi sarà il Messia, ma sappiamo che Egli vive in ogni generazione e che si rivelerà quando la giustizia regnerà sulla terra e tutti crederanno in D-o. Ci sarà allora un capo riconosciuto da tutti, il Messia appunto, e non ci saranno più guerre.
Da parte nostra possiamo contribuire alla venuta del Messia attraverso lo studio della
Torà, particolarmente laddove si parla di eventi messianici. Anche ai giorni nostri Amalek si è manifestato attraverso i tiranni del nostro tempo. E la gente, che non crede ai miracoli, perché irrazionali, non riesce a vederli neanche quando si dischiudono davanti ai suoi occhi, come è avvenuto durante la guerra del golfo, che ad Israele ha causato ingenti danni miracolosamente soltanto materiali.
Chi riesce a causare queste catastrofi umane persino alla sua stessa gente, con conseguenze ecologiche che, a lungo andare, si ripercuoteranno su tutta la natura o su tutti i popoli del mondo, come può per noi non essere Amalek? È davvero singolare vederlo inginocchiarsi in segno di preghiera, quando medita altre terribili distruzioni, anche nucleari, batteriologiche e chimiche, che non ha alcuno scrupolo di intraprendere. Ed è assurdo, inimmaginabile, che possa ambire di accostarsi all'Onnipotente: nelle parole del profeta Daniele, uno come lui è soltanto degno di obbrobrio e di eterna infamia!
«Come sono belle le tue tende, o Giacobbe, le tue dimore, o Israele» (sono le parole che l'ebreo recita entrando nel Tempio, riferendosi alle Tende della Torà, le case di studio ed alle Sinagoghe, le case di preghiera. Ma l'ammirazione del profeta è anche per la disposizione delle tende di Israele e il modo come salvaguardano la modestia e il senso del pudore).
«Il suo re (si allude a Saul) sarà più eccelso di Agag (il re degli amaleciti) e il suo regno sarà esaltato».
« Idd-o, che lo ha tratto dall'Egitto divorerà le genti che lo avversano, stritolerà le loro ossa e spe zzerà le loro saette, i loro missili, scagliati contro di lui».
«Chi ti benedice sia benedetto, chi ti maledice sia maledetto!». (Numeri XXIV, 5, 7, 8, 9).
Memorabile la profezia di Bilaam, un profeta pagano, ma di intensità profetica pari a quella dello stesso Mosè. Il Sign-re parlò di Israele attraverso un pagano per dimostrare l'aspetto universale dell'ebraismo.
Quando si parla di ebraismo, non si può fare a meno di pensare ad Isacco, il secondo e forse il meno popolare dei tre Patriarchi ma il più chiaro emblema del popolo ebraico e di Israele. Si tratta infatti del primo ebreo completo della storia, perché procreato da genitore circonciso (Abramo) e, a sua volta, circonciso l'ottavo giorno dalla sua nascita, come prescritto dalla Torà.
Durante il ciclo di vita di ogni anno, gli ebrei di ogni generazione e di ogni latitudine e longitudine leggono e studiano settimanalmente una delle 53 sezioni del Pentateuco (i cinque libri di Mosè) in modo da completarne la lettura appunto ogni anno.
Durante i due giorni di Rosh Hashanà (il Capodanno ebraico), il Kippùr e le tre prescritte festività si leggono invece brani scelti del Pentateuco che hanno precisi riferimenti con tali ricorrenze.
I due giorni di Capodanno non si inizia quindi con la lettura della Genesi, bensì, il primo giorno, con il racconto della miracolosa nascita di Isacco - che avvenne proprio il giorno di Rosh Hashanà - da genitori anziani e, il secondo giorno, con la lettura del racconto del sacrificio di Isacco, l’Akedà. Si comincia quindi l'anno ebraico con la lettura della storia di Isacco.
Lo stesso dicasi quando un ebreo è presente al Tempio il Sabato precedente la data del suo matrimonio: in quell'occasione si legge il racconto della scelta ideale di una sposa per Isacco come buon auspicio per le nozze imminenti.
La storia della Akedà è innanzitutto la prova suprema alla quale l'Eterno sottopone Abramo ma è anche l'accettazione da parte di Isacco di essere legato sull'altare e sacrificato. Ciò divenne il simbolo del cosiddetto kiddush Hashem (la santificazione del Nome del Sign-re), attraverso la piena disponibilità di rinunciare alla vita per la gloria dell'Eterno.
Soprattutto durante i mesi di lutto per un caro defunto, l'ebreo recita, alla presenza solenne di almeno dieci partecipanti, il cosiddetto kaddish che viene comunemente ed erroneamente indicato come una preghiera per i morti. Non si tratta affatto di una preghiera per i morti. Si tratta invece della Santificazione del Nome dell'Eterno, che è lo scopo della vita. Nell'era Messianica, quando la Shechiná, la Presenza del Sign-re rientrerà, per i meriti allora acquisiti da Israele e dall'umanità, nel terzo ed ultimo Tempio ricostruito di Gerusalemme, dove saranno ridepositate le ritrovate Tavole della Legge, la Shechinà rientrerà contemporaneamente nel Tempio nell'alto dei Cieli, dove il Sign-re ha promesso di non risiedere fino alla ricostruzione del Bet Hamikdash Lematta, il Piedistallo della Sua presenza in Gerusalemme: allora gli uomini di tutte le generazioni, quelli vivi e quelli defunti, che sono o saranno tutti vivi, all'infuori del despota, proclameranno all'unisono la Santità del Sign-re e vivranno con Lui e in Lui nell'Estasi dell'Eternità.
La leggenda della Akedà, nota in ebraico come Et shaarè ratzon (il momento "di apertura delle porte della misericordia), che viene letta nelle Sinagoghe a Rosh Hashanà e a Kippùr è stata anche letta in alcune sinagoghe di Roma, insieme ad altre preghiere, durante i 40 giorni e le 40 notti di pericolo continuo, saccanà, subìto dal popolo di Israele durante la guerra del golfo, culminata nella vittoria alleata proprio il giorno di Purim, che celebra la vittoria degli ebrei, di Ester e Mardocheo sul tiranno amalecito Haman, che finì impiccato insieme ai suoi dieci figli.
Il 4 dei 40 giorni e 40 notti di saccanà è un numero fatidico che ricorda i 400 anni di schiavitù in Egitto del popolo ebraico, i 40 anni del suo peregrinare nel deserto prima di raggiungere la terra promessa, i 40 giorni e 40 notti trascorsi in cielo da Mosè prima di ricevere le Tavole della Legge, la prima e la seconda volta, i 400 cavalieri con cui Esaù andò incontro a Giacobbe per combatterlo al suo rientro in Terra Santa etc. etc. La Akedà che è stata letta come preghiera durante detto periodo di saccanà riflette la terribile saccanà vissuta dall'emblematico rappresentante dell'ebraismo, Isacco prima del sacrificio cui andò incontro, insieme al padre, senza alcuna esitazione.
Quando, nell'ultima strofa della leggenda della Akedà, si è letta la preghiera al Sign-re di ricordare la Sua alleanza ed il Suo giuramento in favore di «questa gente oggi afflitta e abbattuta», si è chiesto aiuto per il popolo di Israele che quotidianamente, per 40 giorni, ha dovuto subire il trauma della terribile paura e dell'enorme pericolo corso senza un attimo di tregua, notte e giorno.
L'autore di questo articolo ha elaborato la traduzione di Et shaarè ratson che segue, dal titolo “Le porte della Misericordia”, perché si possa comprendere, apprezzandone anche il valore mistico, nel leggerla a Rosh Hashanà, prima dello Shofar e a Kippur prima della Neilà, nella poetica, ma forse un po' ermetica, versione ebraica.
di Lino S. Haggiag z"l
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