Dopo la Parashà di Itrò con la promulgazione dei Dieci Comandamenti è forse difficile passare ai particolari della parashà di Mishpatim: E sono questi gli statuti che esporrai a loro. Rashì, riportando l'insegnamento dei Maestri, ci insegna: "Ogni volta che è scritto 'E sono questi', significa che il discorso prosegue rispetto a ciò che è detto prima aggiungendovi dell'altro. Come il precedente discorso, relativo ai dieci comandamenti, è stato riferito direttamente dal monte Sinai, così l'attuale argomento è stato rivolto dal monte Sinai." È un insegnamento profondo, tipicamente ebraico: non credere, o uomo, che D-o intervenga solo per le grandi occasioni, ma anche le regole che riguardano la nostra vita giornaliera hanno un’impronta divina; l'uomo timoroso del Sign-re è appunto colui che si sente continuamente sotto la sorveglianza divina, non escludendo alcun momento dalla percezione della presenza divina, sia che sieda in casa sua, sia che sii trovi per istrada, al suo coricarti e al suo alzarsi (come ci insegna lo Scemà). Se nella parashà di Itrò avevamo le regole generali, nella parashà di Mishpatim passiamo quindi ai particolari.

LIBERI DALLA SCHIAVITÙ UMANA

Ma vi è di più: la rivelazione sul Sinai si apre con la solenne affermazione: Io sono il Sign-re tuo D-o che ti fece uscire dalla terra d'Egitto, dalla casa di schiavitù (Es. XX,2): Idd-o appare quindi come D-o della libertà; solo la sottomissione a D-o, liberi dalla schiavitù umana, fornisce la vera libertà all'uomo; ed ecco che la parashà di Mishpatim si apre con regole sulla schiavitù: "se tu acquisti uno schiavo ebreo, per sei anni resterà schiavo e al settimo sarà rimesso in libertà senza pagare il riscatto" (Es.XXI,2). Ibn Ezra (1089-1164) ci spiega: "non vi è cosa più difficile per un uomo di essere nel potere di un altro uomo come lui, per questo si inizia con il diritto dello schiavo". Anche nel nostro rapporto con D-o avvertiamo il bisogno di essere liberi dal giogo umano, sia da quello di un altro uomo, sia da quello dei nostri istinti: "il servo del Sign-re, lui solo è libero" canterà Jehuda Halevì.

Nel liberare il proprio servo ebreo nel settimo anno dalla vendita (Mechilta) veniamo a mettere in risalto anche la liberazione del popolo ebraico dalla schiavitù egiziana e al tempo stesso veniamo a ricordare la creazione del mondo e il riposo nel settimo giorno, raffigurato nel riposo dello schiavo nel settimo anno (Ramban).

UN PATTO ETERNO

Il profeta Geremia sottolinea l'importanza che il Signre attribuisce a questa liberazione, come compimento del patto stesso sigillato fra D-o benedetto e Israele suo popolo: "Così dice il Sign-re D-o di Israele: Quando Io trassi i vostri padri dalla terra di Egitto, dalla casa di schiavi, stabilii con loro un patto dicendo: In capo a sette anni dovrete mandare libero lo schiavo ebreo che era stato venduto a ciascuno di voi: ti servirà sei anni e poi lo manderai libero" (XXXIV,13-14 ). La Torà viene a sottolineare i nostri doveri: sta a te, ebreo, dare la libertà, sta a te vedere in questa libertà un segno dell'intervento del Sign-re come Creatore del mondo e come liberatore dalla schiavitù egiziana. Vogliamo divenire partecipi all'opera divina di libertà?

Alfredo Mordechai Rabello, Jerushalayim