La storia del miracolo di Chanukkà è nota a tutti quelli che quest'anno, come ogni anno, accenderanno la loro Hanukià per ricordare il fuoco miracolosamente riacceso con l'inestinguibile olio prodigioso. E si festeggerà con l'olio friggendo chi le latkes chi altre cose, si faranno regali ai bambini, si farà festa nelle case, mentre qualcuno tra noi che ricordiamo questo miracolo, si chiederà: cos'è un miracolo? Esistono ancora i miracoli? Miracolo, dice il dizionario, è quell'opera sensibile che avviene al di fuori dell'ordine della natura, per opera di D-o, o di qualcuno in grado di intercedere presso di Lui come i grandi tzadikim. (Nel caso di Chanukkà l'olio bastante per una sola giornata durerà per opera divina appunto otto giorni).
E la questione che l'uomo comune, l'uomo medio, il benonì come lo definiva il nostro grande Rabbi Schneur Zalman di Liadi si pone è questa: accadono ancora i miracoli? Possiamo ancora credere nei miracoli? È un privilegio o un ingenuità credere nei miracoli? Che il popolo ebreo sia portato a credere nei miracoli in ogni momento della sua storia, è cosa accertata. Noi siamo sempre vissuti in mezzo ai miracoli, dall'incredibile episodio dell'uscita dall'Egitto a quello altrettanto impossibile della nostra sopravvivenza attaverso i secoli fino alla creazione della Stato d'Israele. Un popolo quindi, si può dire, abituato al miracolo e che vive soprattutto nella visione escatologica di un miracolo estremo, l'arrivo del Mashiah; abituata al punto che un umile hassid poteva osservare che in casa del suo Rebbe i miracoli si raccoglievano sotto le sedie. Ma questo che evidentemente è solo un modo ingenuo e profondo al tempo stesso per dire che i miracoli vanno saputi vedere, corrisponde alla visione attuale della vita da parte dell'ebreo moderno?
Quando accendiamo la channukià, ci rendiamo veramente conto della portata del miracolo dell'olio o ci limitiamo a commemorare, come del resto fanno anche i goyim con le loro feste, una giornata lieta?
Chanukkà è uno dei pochi miracoli che si ricordino, forse il solo ad essere storicamente databile. Il 25 di Kislev del 168 a.E.V., durante il regno di Antico IV Epifane, che nel suo programma politico includeva l'ellenizzazione completa della Giudea, venne per la prima volta offerta nel tempio di Gerusalemme un sacrificio ad una divinità pagana. Sempre il 25 di Kislev, tre anni dopo, nel 165 a.E.V. il tempio venne purificato e riconsacrato al culto nazionale.
Si tratta quindi di un avvenimento assolutamente storico, di qualcosa di inconfutabile, come, che so, la battaglie di Maratona o quella delle Termopili.
Eppure io credo che non si debba storicizzare il miracolo. Il miracolo deve essere per noi ethos e fare parte integrante della nostra vita quotidiana. Nulla aggiunge a a portata del miracolo di Chanukkà il fatto d'essere un evento verificabile nella cronologia della storia. Nulla toglie, poniamo, al miracolo della vittoria del piccolo David sul gigantesco Goliath l'incertezza di una data esatta. Come in ogni generazione noi dobbiamo sentirci il giorno di Pesah liberati dall'Egitto, come comanda il Talmud, così noi dobbiamo sentirci ogni 25 di Kislev vincitori degli Ellenizzanti.
I pochi che vincono i molti, i puri che vincono gli impuri. Non esiste per l'ebreo una discontinuità storica o temporale quando parla degli eventi delle sua storia. Moshe Rabbeinu, David Hamelech, come gli altri grandi nostri avi, fanno parte della vita di ogni giorno, come ne fa parte la nostra famiglia, o il Rebbe dal quale andiamo per farci consigliare. L'Ebreo è immerso in una realtà storica diversa da quella di ogni altro popolo, un flusso continuo di avvenimenti, di fatti, di personaggi che lo circondano e che non invecchiano, non cambiano e che continuano ad essere presenza immanenti e vive anche a migliaia di anni di distanza. Giuda Maccabeo è il nostro eroe, il buono, e lo sarà sempre, come il personaggio di un'altra festa, l'orribile Aman sarà sempre, per antonomasia, il vilain.
Torniamo adesso alla possibilità attuale di un evento miracoloso come quello di Chanukkà.
Io vorrei dire che proprio quello che ha distinto gli Ebrei dagli altri popoli è stata appunto la loro capacità di credere nei miracoli, di identificarli, di viverli, di saperli attendere.
Un raffinato ellenista del 165 a.E.V. avrebbe certo riso di questa capacità, avrebbe citato probabilmente i suoi filosofi preferiti, avrebbe dimostrato che ai miracoli credono solo gli sciocchi. Orazio, il celebre poeta latino, ironizzava in una sua satira proprio sulla credulità degli ebrei di fronte a storie meravigliose (Credat Judaeus Apoella, non ego!), e si riferiva nientemeno che all'accensione della legna da parte di Eliahu Ha Navì.
E noi siamo ancora nella posizione spirituale dell'ebreo di Orazio, in quella dei Maccabei, in quella dell'umile hassid così fiducioso nella capacità del suo WunderRebbe?
Eppure il prodigio anche oggi è visibile nel mondo, negli tzadikim nascosti che vivono intorno a noi. Si racconta che Israel Baal Shem Tov si recasse con un suo discepolo al bagno rituale. Era inverno e il gelo era tale che prima di immergersi essi furono obbligati a spezzare la lastra di ghiaccio che si era formata sull'acqua. Mentre si immergevano il Baal Shem cominciò a parlare finché non si fece notte, e quando il discepolo intirizzito si lamentò che non c'era più luce, il Santo staccò un pezzo di ghiaccio che pendeva dal soffitto e lo accese. E finché il maestro parlò la candela di ghiaccio continuò miracolosamente a ardere; quando smise di parlare, il ghiaccio tornò ghiaccio e la candela si spense. Perché il Baal Shem stesso era fuoco, tanto che quando pregava in solitudine e ancora ignoto al mondo, molti si precipitavano nella sua stanza per paura di un incendio.
La candela del Baal Shem Tev la sua memoria ci guidi, i lumi di Chanukkà, la pira di Eliahu Ha Navì bruciarono di uno stesso fuoco, del fuoco miracoloso di D-o. Noi viviamo circondati da miracoli in un mondo in cui tutto è miracolo, e se solo li sapessimo vedere, capire, identificare e soprattutto riconoscere amandone l'Autore, anche noi forse li potremmo raccogliere sotto le sedie del nostro Rebbe.
di Donatella Valori z”l
Parliamone