Per alcuni, un codice religioso rappresenta una lista di dogmi, cose autorizzate e altre vietate. Impostate così, le leggi divine assumono un carattere esclusivamente bipolare e ciò rende il servizio divino più facile. Se ad un individuo viene chiaramente indicata la direzione da intraprendere, egli si sente sicuro di non sbagliare. Ma la vita non è composta solo da queste due tinte inconfondibili. C’è anche il grigio. Anche per la persona che decide di seguire solo il cammino del bianco, si sviluppa in lui un esacerbato sentimento di intaccabilità e di egocentrismo.
Per proteggerci da questa trappola, D-o ci ingiunge: “Siate santi”, cioè comportatevi umilmente, spinti dall’unica certezza che le vostre azioni siano stimolate dal Cielo. E ad un livello superiore, bisogna “Conoscere Hashem in tutte le Sue Vie”. Questo è uno dei pilastri del chassidismo. Nel libro del Tanya, Rabbi Shneur Zalman di Lyadi definisce “Parte della Klippà ogni azione che non rechi una trasgressione, ma che sia stata compiuta priva di amore di Hashem, anche quando si tratti di un bisogno necessario alla soppravvivenza del corpo.” La klippà, che significa prettamente 'scorza', nella Kabbalà ha un senso negativo, giacchè rappresenta l’aspetto esteriore delle cose, ignorandone il contenuto che è l’essenza divina.
Implicazione non ascetismo.
'Santo' si traduce comunemente con kadosh. Ma il vero senso dell’accezzione ebraica kadosh è ‘separato’. In questa parashà è così riportato: “Sarete santi per Me, perchè, Io, D-, sono santo e vi ho separati dalle altre nazioni per essere Miei”. Tale separazione non coinvolge le dimensioni rituali della Torà e dei suoi comandamenti. Sono ben distinte fra loro, pertanto non spetta all’uomo enfatizzarle oltremisura.
La parashà Kedoshim, invece, si rivolge a tutti i mortali: tratta delle regole inerenti all’agricoltura, alle relazioni umane, al lavoro e alla moralità. Proprio in settori “profani“ si manifesta la sacralità del popolo ebraico.
“Potete essere come Me”.
La kedushà-separazione si riferisce ugualmente alla sfera sovrastante l’esistenza materiale, alla luce divina, peraltro disgiunta dal quadro umano. Tuttavia, benchè questa kedushà non può essere percepita dai nostri sensi mortali, essa non ci è completamente inacessibile. Il Midrash spiega:“Si può davvero essere santi come Lui? No. La frase sottindende “Sono Io il Padreterno, vostro D-, sono santo; la mia santità è più grande della vostra”. Ciònonstante, il pensiero hassidico interpreta le parole ebraiche “Yahol kamoni- potete come me” in questo modo: “Potete essere come me”. I
n altre parole, ogni essere umano può raggiungere un grado di elevazione pari a quello del Signore. Considerato che ognuno di noi possiede un’anima che è realmente un elemento di Hashem e che “Io il Sign-re, vostro D- sono santo”, siamo tutti in grado di raggiungere inimmaginabili livelli di probità. In realtà, l’umanità è in grado, volendo, di abellire la purità di D- come trasmettono i nostri saggi : ”Se vi renderete santi, considererò che mi santificate”.
L’interiore e l’esteriore.
Queste due nozioni sono legate. L’essere umano possedendo, come già enunciato, una parte divina in lui, gli è concessa la possibilità di palesare la sacralità a tutti i livelli, persino in seno ad una vita materiale. Questo potenziale induce ogni individuo a ricercare mete spirituali più lontane. Poichè Dio è senza limiti, trascendendo tutti i livelli, ogni persona è in grado anch’essa di ambire a sfere più elevate.
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