Ci sono due termini che vengono spesso accomunati e in genere interpretati come sinonimi allorché non lo sono: “fede” e “fiducia”. In ebraico “emunà” e “bitachòn”. Un modo per spiegare la differenza tra i due concetti è che il primo termine significa credere che D-o esiste mentre il secondo termine definisce la conoscenza, o meglio, l’effetto della conoscenza, sulla mente, sul cuore e sull’azione.

Rabbi Levi Yitzchak di Berditchev, con delusione e stupore del padre, diventò un chassìd dopo il suo matrimonio. Incapace di capire cosa aveva spinto il figlio ad aggregarsi al chassidismo, gli domandò senza mezzi termini: ”Cos’hai adesso che non avevi prima?” – “ La fede in Hashèm” fu la risposta laconica ma seria. Incredulo, l’uomo esclamò: “Ma come, tutti credono in D-o!” e per sostenere le sue affermazioni, domandò alla governante: “Credi in D-o tu?” – “Certo!” Ella rispose. Rabbi Levi Yitzchak ribatté: “La donna dice che D-o esiste; io, invece, so che esiste”. Per lui, D-o rappresentava più che un’idea teorica. D-o è concreto, è una realtà. In pratica, se si deve dubitare di qualcosa, deve essere della propria esistenza, non di quella di Hashèm. La conoscenza a cui si riferiva Rabbi Levi Yitzchak non era di carattere astratto, bensì concreto e si esprimeva con una convinzione e un impegno effettivo e tangibile. Non si trattava di ciò che approvava ma per chi si impegnava. Il Talmùd riporta l’esempio del ladro che si inginocchia, prima di derubare, davanti ad Hashèm per implorarGli il successo del suo misfatto. Un comportamento tale non è contraddittorio. Tuttavia, se crede in D-o come dimostra la sua preghiera, come può al contempo commettere un atto vietato da D-o stesso e, ancora peggio, pregare Lui per il buon esito dello stesso? Eppure stranamente egli ha fede, Emunà, ma manca di fiducia, Bitachòn. Sebbene nella mente del nostro pio ladro, D-o esiste da qualche parte in qualche modo, la sua vita deve comunque andare avanti e lui in qualche modo deve mantenere la famiglia. Di contro, per colui che ha Bitachòn in Hashèm, Egli è sempre e intrinsecamente coinvolto nella sua vita. Lungi dall’essere assente, la Sua presenza è palese e il Suo interessamento a noi è un pieno coinvolgimento. Perciò sulla Sua benedizione e non sui nostri sforzi dobbiamo contare per riscuotere successo.

Se credere in Do sembra cosa facile ciò vuole dire che la cosa è stata semplificata oltremisura. Alcuni sostengono che affidare la propria fiducia in un Essere Supremo e nella Sua Provvidenza equivale a cercare la facilità nella vita, sarebbe come usare delle stampelle invece di camminare con le proprie gambe. La vera fiducia esige impegno e sforzi immensi in quanto riporre la sua sorte nelle mani di Hashèm, non solo verbalmente ma anche con le azioni, la mente e il cuore, è un’attività poco intuitiva quanto il salto all’elastico. La nostra vita è sul filo del rasoio. E fisicamente non vediamo il filo della vita che ci sostiene da dietro o da sopra, mentre il mondo sfila vicino a noi alla velocità di un lampo.

Ciò non costituisce cosa agevole ma può essere illustrata con una parabola. Un giorno, un celebre maestro funambolo si recò in un paese molto particolare. La voce del suo arrivo si era sparsa molto velocemente e un nutrito pubblico venne ad assistere allo spettacolo. Nel massimo silenzio, l’artista si arrampicò all’albero dal quale si sarebbe lanciato per la sua pericolosa acrobazia. Ma proprio prima di avviarsi, si rivolse alla folla: ”Chi tra di voi crede che io possa camminare sul filo senza problemi?” La folla manifestò rumorosamente la sua certezza. Poi reiterò la domanda un’altra volta e accolse la stessa risposta. Allora, tirò fuori dai rami una carriola e domandò con un tono più basso: “Chi tra di voi, si presta volontario per sedersi nella carriola mentre cammino sul filo?” Il silenzio era tale che si poteva sentire una mosca ronzare. La Emunà era la risposta rumorosa del pubblico. Il Bitachòn sarebbe stato di salire e sedersi nel carretto.

Shabbàt e Shmittà

Ci sono due termini che vengono spesso accomunati e in genere interpretati come sinonimi allorché non lo sono: “fede” e “fiducia”. In ebraico “emunà” e “bitachòn”. Un modo per spiegare la differenza tra i due concetti è che il primo termine significa credere che D-o esiste mentre il secondo termine definisce laconoscenza, o meglio, l’effetto della conoscenza, sulla mente, sul cuore e sull’azione.

Rabbi Levi Yitzchak di Berditchev, con delusione e stupore del padre, diventò un chassìd dopo il suo matrimonio. Incapace di capire cosa aveva spinto il figlio ad aggregarsi al chassidismo, gli domandò senza mezzi termini: ”Cos’hai adesso che non avevi prima?” – “ La fede in Hashèm” fu la risposta laconica ma seria. Incredulo, l’uomo esclamò: “Ma come, tutti credono in D-o!” e per sostenere le sue affermazioni, domandò alla governante: “Credi in D-o tu?” – “Certo!” Ella rispose. Rabbi Levi Yitzchak ribatté: “La donna dice che D-o esiste; io, invece, soche esiste”. Per lui, D-o rappresentava più che un’idea teorica. D-o è concreto, è una realtà. In pratica, se si deve dubitare di qualcosa, deve essere della propria esistenza, non di quella di Hashèm. La conoscenza a cui si riferiva Rabbi Levi Yitzchak non era di carattere astratto, bensì concreto e si esprimeva con una convinzione e un impegno effettivo e tangibile. Non si trattava di ciò che approvava ma per chi si impegnava. Il Talmùd riporta l’esempio del ladro che si inginocchia, prima di derubare, davanti ad Hashèm per implorarGli il successo del suo misfatto. Un comportamento tale non è contraddittorio. Tuttavia, se crede in D-o come dimostra la sua preghiera, come può al contempo commettere un atto vietato da D-o stesso e, ancora peggio, pregare Lui per il buon esito dello stesso? Eppure stranamente egli ha fede, Emunà, ma manca di fiducia,Bitachòn. Sebbene nella mente del nostro pio ladro, D-o esiste da qualche parte in qualche modo, la sua vita deve comunque andare avanti e lui in qualche modo deve mantenere la famiglia. Di contro, per colui che ha Bitachòn in Hashèm, Egli è sempre e intrinsecamente coinvolto nella sua vita. Lungi dall’essere assente, la Sua presenza è palese e il Suo interessamento a noi è un pieno coinvolgimento. Perciò sulla Sua benedizione e non sui nostri sforzi dobbiamo contare per riscuotere successo.

Se credere in Do sembra cosa facile ciò vuole dire che la cosa è stata semplificata oltremisura. Alcuni sostengono che affidare la propria fiducia in un Essere Supremo e nella Sua Provvidenza equivale a cercare la facilità nella vita, sarebbe come usare delle stampelle invece di camminare con le proprie gambe. La vera fiducia esige impegno e sforzi immensi in quanto riporre la sua sorte nelle mani di Hashèm, non solo verbalmente ma anche con le azioni, la mente e il cuore, è un’attività poco intuitiva quanto il salto all’elastico. La nostra vita è sul filo del rasoio. E fisicamente non vediamo il filo della vita che ci sostiene da dietro o da sopra, mentre il mondo sfila vicino a noi alla velocità di un lampo.

Ciò non costituisce cosa agevole ma può essere illustrata con una parabola. Un giorno, un celebre maestro funambolo si recò in un paese molto particolare. La voce del suo arrivo si era sparsa molto velocemente e un nutrito pubblico venne ad assistere allo spettacolo. Nel massimo silenzio, l’artista si arrampicò all’albero dal quale si sarebbe lanciato per la sua pericolosa acrobazia. Ma proprio prima di avviarsi, si rivolse alla folla: ”Chi tra di voi crede che io possa camminare sul filo senza problemi?” La folla manifestò rumorosamente la sua certezza. Poi reiterò la domanda un’altra volta e accolse la stessa risposta. Allora, tirò fuori dai rami una carriola e domandò con un tono più basso: “Chi tra di voi, si presta volontario per sedersi nella carriola mentre cammino sul filo?” Il silenzio era tale che si poteva sentire una mosca ronzare. La Emunà era la risposta rumorosa del pubblico. Il Bitachòn sarebbe stato di salire e sedersi nel carretto.

Shabbàt e Shmità

Ci sono due comandamenti spesso associati e spesso reputati identici mentre non lo sono: Shabbàt e shemittà. Il settimo giorno della settimana è Shabbàt e l’anno sabbatico agricolo torna ogni sette anni, la shemittà appunto. Riguardo a Shabbàt è scritto: “Sei giorni il lavoro sarà fatto, ma il settimo giorno sarà santo per voi, un giorno di riposo completo per Hashèm”. Riguardo alla Shmità è scritto: ”Sei anni durante i quali seminerai il tuo campo e sei anni durante i quali lavorerai il tuo vigneto e ne raccoglierai il prodotto ma il settimo anno, la terra avrà il riposo assoluto, uno Shabbàt per Hashèm”.

Due varianti dello stesso principio ? Non proprio. A Shabbàt rispettiamo Hashèm in qualità di Creatore del mondo; durante la shemittà Lo celebriamo quale Padrone dell’Universo. Ci riposiamo il settimo giorno della settimana al fine di attestare che D-o ha dato alla luce (e continua a mantenere in vita) il mondo. Ci riposiamo il settimo anno per riconoscere il fatto che Egli dirige il mondo in tutti i suoi aspetti. Questa è la ragione per la quale ci asteniamo a Shabbàt da qualsiasi attività creativa, alla stregua del Sig-re che si fermò dopo la prima settimana della Creazione. Ciò testimonia la nostra fede nel fatto che esiste Un solo e vero Creatore.

Di contro, durante la shemittà creare è un’azione permessa. Ma lavorare la terra non lo è. In quanto l’anno sabbatico ci insegna che esiste un solo Proprietario e Amministratore del nostro mondo. In base alle parole di Rashi: «Hashèm dice “Non ho escluso quelli [i prodotti che crescono da sé] dal vostro utilizzo e dalla vostra alimentazione ma non dovete comportarvi come loro proprietari”» Shabbàt evoca il racconto della Creazione, la shemittà invece, è un’affermazione della Provvidenza Divina. Vale a dire che in teoria, un credente potrebbe osservare lo Shabbàt e non la shmittà. Per tornare al tema iniziale, questo ci aiuta e concentrarci sul “chi è che crea”; la shemittà ci aiuta ad individuare “chi fa muovere il mondo”.

Qual è la morale della storia ?

È interessante notare che la parola ebraica per «sicurezza» è Bitachòn, fiducia. Credere in Hashèm può suscitare sentimenti di fervore religioso. Aver fiducia in Lui ci dà un sentimento di sicurezza. Un fatto saliente è che sul dollaro americano, simbolo di sostentamento, di prosperità e di sicurezza per tanta gente, ci sia la scritto “In G‑d we trust” ovvero “in D-o riponiamo la nostra fiducia”. L’ideale sarebbe di scolpire questo messaggio nei nostri cuori e non solamente nelle nostre tasche.

In base ad una lettera del Rebbe di Lubàvitch del 6 Tishrì 5733 (1973).

Traduzione a cura di Myriam Bentolila