Mentre vengono scritte queste righe (durante il brevissimo cessate il fuoco di martedì; .d.r.), dei soldati israeliani si trovano al confine della Striscia di Gaza e supplicano affinché sia dato loro l'ordine di entrarvi. Nessuno di loro è amante della guerra e sanno bene tutti che si tratterebbe di un conflitto duro, dove forse non tutti torneranno a casa nelle migliori condizioni.
I cittadini del sud, ormai del tutto scombussolati dalle sirene e dalle corse ai rifugi, supplicano i leaders del paese di entrare a Gaza e di finire il lavoro. Proprietari di negozi e titolari di aziende si dichiarano pronti a soffrire quanto necessario purché la battaglia si concluda con una devitalizzazione totale del terrorismo di Gaza.
Come si spiega, quindi, che al governo siedono persone che non capiscono ciò che invece capisce benissimo il più semplice cittadino israeliano? Non bisogna essere un genio per capire ciò che la realtà spiega inequivocabilmente. L'abbiamo ben visto in passato che ogni tregua fra un conflitto e l'altro concede al nemico il tempo e le risorse per munirsi di armi a portata sempre maggiore. E abbiamo più volte potuto constatare, pagandone il prezzo pieno, che il prossimo attacco è solo una questione di tempo.
Che cosa si aspettava?
Eravamo esattamente allo stesso punto con l'espolosione del terrorismo in seguito agli accordi di Camp David B, circa quattordici anni fa. Abbiamo potuto facilmente constatare che i territori da cui siamo usciti in seguito agli accordi di Oslo erano diventati nidi di terrorismo, da cui spiccavano le ali assassini che hanno fatto esplodere autobus e centri popolati nelle città israeliane. Era chiaro che l'unica soluzione possibile sarebbe stato riprenderci quei territori e sradicare il terrorismo.
Solo dopo due terribili anni e mezzo, in cui sono stati massacrati oltre mille ebrei in centinaia di tragici attentati, si è deciso di aprire l'Operazione Homat Maghen che pose fine allo spargimento di sangue. Molto presto si comprese che sconfiggere il terrorismo e spazzarne via i nidi è cosa fattibile, se solo lo si vuole.
Perché tuttavia si attese due anni e mezzo? Perchè il ritorno a Yehudà e allo Shomròn significava ammettere il fallimento di tutta l'ideologia su cui si fondava Oslo. L'intera leadership politica e militare fu complice di questo tragico processo e non fu in grado di ammettere il proprio errore, fnché il numero di vittime non le diede scelta.
La soluzione è chiara. Questa è esattamente la storia della Striscia di Gaza. Fintanto che vi avevamo piede, potevamo affrontare senza troppe difficoltà i lanci di razzi semplici e a breve portata, di cui soffrirono principalmente gli abitanti della stessa regione. Avevamo il controllo dei varchi, entravamo nei territori quando se ne presentava la necessità e non permettevano il passaggio o la fabbricazione di razzi o missili più pericolosi. Poi nacque l'idea "geniale" della Hitnatkut, e in breve si creò una base terrorista che mette a repentaglio l'intero paese.
L'unico modo per risolvere la situazione è sradicare le infrastrutture di questo terrorismo, fino in fondo. Ciò richiede inesorabilmete di tornare alla Striscia, di eliminare i capi del terrorismo, di far esplodere i bunker e di distruggere i missili e le loro fabbriche. Non è tuttavia sufficiente. Non basta infatti entrare per poi uscire. Bisogna instaurare una routine operativa per garantire l'eliminazione totale del terrorismo.
Farlo significa ammettere l'errore della Hitnatkut, ma la leadership non sembra ancora pronta per un passo del genere. Pertanto ci si accontenta di operazioni militari limitate e a breve tempo, che invece di risolvere il problema danno origine a nuovi circoli di violenza, uno più grave dell'altro.
Che H-shèm abbia pietà del suo popolo!
Di Rav Menachem Brod, 15/7/2014
In seguito al cessate il fuoco dello stesso giorno, durato poche ore
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