Mio suocero una volta raccontò una storia chassidica su suo padre, Rabbi Shalorn Dov Ber, in connessione con il compleanno di suo padre, il ventesimo giorno di Mar Cheshvan. Questa storia è anche messa in relazione con la Parshat Vayerà nel sabato della sua lettura nella Torà.
Quando Rabbi Shalom Dov Ber era un piccolo bambino di quattro o cinque anni, andò dal nonno il Tzemach Tzedek per ricevere la benedizione in occasione del suo compleanno. Improvvisamente scoppiò in lacrime e chiese lamentevolente: “Perché leggiamo nella lettura della Torà di questa settimana di Vayerà che D-o si rivelò ad Abramo ed Egli non si è mostrato a me?” Il Tzemach Tzedek rispose: “Se uno tzaddik alla veneranda età di novantanove anni decide di circoncidersi allora egli è meritevole che D-o si mostri a lui”.
Come ha spesso sottolineato in precedenti occasioni il fatto che una storia che riguarda un gran tzaddik è detta pubblicamente e più tardi pubblicata vorrebbe indicare che fu raccontata con cura e nei suoi precisi dettagli e allora ha importanza eterna per tutti gli ebrei. È degno di nota che mio suocero sottolineò il fatto che suo padre aveva solo quattro o cinque anni in quel tempo. Evidentemente il suo intento non era soltanto di trasmettere la rara sensibilità spirituale di suo padre, che sebbene ancora un piccolo bambino fu mosso al pianto perché D-o non era venuto a lui. Dobbiamo comprendere che questa narrazione, come tutte le storie così scelte, fu riraccontata perché contiene implicazioni spirituali e significato per ogni ebreo, persino per uno di quattro o cinque anni di età.
Con ciò si intende anche gli adulti che hanno quattro o cinque anni di età spiritualmente, e come i bambini di quell'età, non sono ancora preparati al rigore e alla disciplina di un insegnamento strutturato. Questi adulti sono limitati nella loro abilità di vivere i valori religiosi e gli insegnamenti. Tuttavia anche un individuo di limitata crescita spirituale può richiedere per mezzo di una decisione interiore che D-o gli si riveli così come si rivelò al nostro patriarca Abramo, e di fatto può piangere di disperazione, tanto profondamente egli riesce a vivere questa sua decisione.
Al di là di questa applicazione, la narrativa fa riferimento letteralmente ad un bambino di quattro o cinque anni che può essere istruito in una tale maniera che egli richiederà perentoriamente e sinceramente e piangerà che D-o debba in verità e di fatto mostrarsi a lui.
Potremmo cominciare con il chiederci come sia possibile generalizzare su delle implicazioni che questa storia avrebbe per ogni bambino ebreo dal momento che la storia originale è su un bambino che era santo sin dall'inizio della sua esistenza, il figlio di un leader chassidico destinato ad essere lui stesso leader chassidico. Inoltre, sin dalla sua prima fanciullezza c'erano già indicazioni della potenzialità di una grande statura spirituale, come afferma il Talmùd, che è possibile percepire già nei bambini i boccioli di una futura grandezza (vedi Berachòt 48a).
Tuttavia il fatto che mio suocero narrò questa storia pubblicamente e poi la fece stampare, come abbiamo già spiegato, è un segno evidente che essa non si applica soltanto ad una personalità altamente sensitiva e spirituale, anche se solo nella prima fanciullezza, ma indistintamente ad ogni singola persona.
Il Rambam enumera vari tipi di piacevoli incentivi ognuno dei quali adattato al livello di maturazione dei bambino che lo motiverà ad apprendere. Al bambino dovrebbero essere date quelle cose che egli stesso ama e che sono in accordo con il livello di sviluppo dei bambino... Leggi ed io ti darò le noccioline, ecc. Le differenti ricompense gratificanti sono necessaria perché “per i suoi pochi anni e per il suo intelletto non ancora sviluppato egli non comprende il bene spirituale inerente allo studio della Torà”. Per contrasto, questa narrazione implica che persino un piccolo bambino può e dovrebbe essere influenzato e profondamente motivato dalla sua istruzione fino al punto di piangere intensamente, non perché desideroso di cose materiali o ricompense similari, ma per il desiderio intenso della D-vinità, sperimentando di fatto profonde sofferenze perché “D-o non si è mostrato a me”. Un bambino dovrebbe essere educato in una maniera che possa evocare dentro di lui il bisogno di fare della D-vinità una “parte effettiva della sua vita”; nelle parole del Rambam: amato da Lui.
Quando un bambino ebreo non è disturbato dal fatto che D-o non si sia mostrato a lui, questa storia ci indica che non è perché questo concetto è al di là della sua capacità di comprendere, ma perché il suo maestro ha mancato di istruirlo in quella devota, dedicata via delle “parole che vengono dal cuore entreranno nel cuore” di chi le ascolta.
La risposta del Tzemach Tzedek ha anch'essa particolare importanza per ogni bambino ebreo. Le sue parole “Quando un ebreo, uno Tzaddik dell'età di novantanove anni decide di circoncidersi, allora egli è meritevole che D-o si mostri a lui” non devono essere comprese come se esprimessero l'unicità di Abramo; egli infatti avrebbe potuto rispondere semplicemente che noi non possiamo paragonarci ad Abramo.
La sua risposta deve essere compresa come espressione di Torà: su qualsiasi livello si trovi un ebreo (persino uno tzaddik come Abramo ed a novantanove anni) egli deve sempre avere costantemente presente la circoncisione; il significato spirituale della circoncisione, che è lo sforzo di rimuovere una barriera. Un'allusione anche alla barriera che ostruisce e nasconde la rivelazione della D-vinità dall'esistenza mondana.
La coscienza di questo sentimento ha un rapporto con tutti gli ebrei. Sebbene Abramo era un Tzaddik di novantanove anni d'età, e il suo impegno è molto più elevato e significativo di quello di uno che non sia né al suo livello né uno Tzaddik, tuttavia egli aprì questo canale per tutti gli altri ebrei. Aprire il canale è un concetto mistico ben conosciuto: quando qualcuno si sforza intensamente di far scendere una specifica materia spirituale in questo mondo, i suoi sforzi provocano l'apertura di un canale anche per altri, così che essi divengono capaci di raggiungere quella stessa materia con uno sforzo molto inferiore. Questo è particolarmente vero per il periodo storico che seguì alla donazione della Torà sul monte Sinai; una misura di sforzo spirituale di gran lunga inferiore e più facile è necessaria per compiere ciò che necessitò grandi e intensi sforzi ai patriarchi.
Questa è l'implicazione della risposta del Tzemach Tzedek come essa è in rapporto con l'educazione dei bambini.
Dopo aver evocato nel bambino sublimi desideri per D-o che si riveli a lui, un'educazione appropriata deve anche chiarire al bambino i mezzi corrispondenti, che giaciono nella ferma risoluzione che bisogna avere la circoncisione sempre presente, la quale indica sforzo spirituale costante e progressivo per rimuovere la barriera e gli occultamenti dall'esistenza terrena così che la D-vinità possa venire rivelata.
Questo significa che ai bambini dovrebbe essere insegnato a non temere le forze malvagie che occultano e nascondono la D-vinità. Essi dovrebbero restare non scoraggiati dai valori e dalle norme sociali dei mondo. Al contrario, il solo criterio di condotta personale sono gli illuminati principi guida dei valori della Torà. Questa decisione dovrebbe essere così ferma e costante che “anche quando invecchierà egli non virerà da essa”. (Mishlei 22:6) Anche quando egli maturerà da un livello ad un altro, ad uno più elevato nel servizio di D-o, il bisogno dell'autocirconcisione, della rimozione di quel muro che si erge fra lui e D-o sarà profondamente radicato in lui.
Il risultato di ciò sarà che anche nella fanciullezza D-o si rivelerà a lui dispensando emanazioni divine su di lui e su tutto ciò che lo circonda, nel modo di “E D-o sarà una luce eterna davanti a voi” (Isaia 60:19).
Un'istruzione adeguata per un bambino ebreo dovrebbe, oltre ad evocare un amore altruistico per D-o, sviluppare quei concetti e quei tratti caratteriali che definiscono e rifiniscono le sue relazioni con il prossimo.
Un'altra narrazione sul Rebbe Shalom Dov Ber vuol ben illustrare questo punto: (Chanoch Lanaár p. 9).
È raccontato che quando egli aveva quattro anni, il sarto portò un abito a sua madre, la Rebbetzin. Mentre l'abito veniva scrutinato, il piccolo bambino estrasse un altro pezzo di stoffa dalla tasca del sarto. Era ciò che era avanzato dall'abito e il sarto l'aveva tenuto per sé. Il sarto restò molto imbarazzato e scusandosi cercò di giustificarsi asserendo che egli si era dimenticato di restituire il pezzo di stoffa. Quando il sarto uscì la Rebbetzin criticò il suo piccolo figlio per aver causato quella pena al sarto. Appena egli udì quelle parole di critica scoppiò ìn lacrime consumandosi in un pianto amaro.
Qualche settimana dopo egli chiese a suo padre quale fosse il modo per rettificare il peccato di aver svergognato qualcuno. Suo padre gli chiese la ragione per la sua domanda e il bambino rispose semplicemente che gli sarebbe piaciuto conoscere la risposta, evitando di rivelare i dettagli dell'incidente.
Quando a sua madre venne detto ciò, chiese a suo figlio perché non avesse raccontato a suo padre dell'intero incidente. Egli rispose semplicemente che l'aver causato imbarazzo in un ebreo era già di per sé sufficientemente un problema per dover complicare la questione con un altro problema, la possibilità di calunnia e pettegolezzo.
L'azione del bambino non fu certamente tanto seria, perché egli agi così innocentemente, senza alcun intento malvagio. Nondimeno egli fu così angustìato da versare lacrime per essere stato causa di vergogna per un ebreo. E sebbene egli avrebbe potuto razionalizzare rivelando al padre che cosa successe, come ad esempio il rispetto per suo padre, o cercando di trovare mezzi per fare teshuvà e mettere le cose a posto, egli tuttavia non poteva sopportare di parlare negativamente di un ebreo. Dal momento che questa storia ci fu impartita facendo enfasi sul fatto della sua giovane età, quattro anni, indica a tutti noi, che ogni bambino ebreo possiede la capacità e la sensibilità di essere istruito a queste insolite qualità spirituali sin dalla prima fase della sua fanciullezza.
Quanto detto sottolinea l'importanza di compiere sforzi sempre maggiori per provvedere ad un'educazione ebraica per i propri bambini così come per tutti i bambini ebrei.
C'è un famoso detto del Rebbe Rashab che afferma: così come abbiamo un comando biblico che ogni ebreo metta i Tefillìn senza tener conto dell'estensione della sua conoscenza, che egli sia un eminente studioso o una semplice persona illetterata, è similmente dovere di ogni ebreo di riflettere mezz'ora al giorno sull'educazione dei suoi bambini, e di fare tutto ciò che è a lui possibile e non solo ma anche l'impossibile per vedere che essi procedano sulla retta via della Torà.
Questa preoccupazione andrebbe estesa anche a tutti i bambini ebrei i cui genitori hanno (per qualsivoglia ragione) trascurato questo compito. Così come è stato affermato dal Rambam (Hilchòt Talmud Torà 11:2) e dall'Alter Rebbe (Hilchòt Talmud Torà 1:8): è dovere di ogni singolo sapiente vedere che ogni bambino ebreo possa ricevere un'educazione ebraica adeguata.
A questo modo noi stabiliamo un Tzivot Hashem (bambini membri dell'Esercito di D-o) che uscirà dal galùt, abbracciando l'intero popolo ebraico “con i nostri giovani e i nostri vecchi, ecc., i nostri figli e le nostre figlie” (Esodo 10:9) per via dei nostro giusto Mashiach velocemente.
di Rabbi Alter Benzion Metzger Tradotto da Roy Baranes
Parliamone