L’11 gennaio 2007 si è spenta a New York la Rabbanit Maryasha Shagalov all’età di 106 anni. Nata all’epoca dell’ultimo Zar, perse il padre quando aveva cinque anni, ucciso a sangue freddo durante un pogrom, poi morirono i nonni nella loro fattoria bruciati vivi dai loro vicini. Nel 1937, suo marito fu arrestato e giustiziato dal KGB per “attività contro-rivoluzionarie” cioè per aver continuato a praticare e ad insegnare l’ebraismo. La Rabbanit soppravisse alle barbarie di Hitler e Stalin, yimachshemam (che il loro nome sia cancellato in eterno), e si trasferì definitivamente a New York con i suoi sei figli che aveva cresciuto da sola. Più di cinquecento sono i suoi discendenti di cui la maggior parte sono inviati del Rebbe con funzioni di Rabbanim negli Stati Uniti, in Cina, in Inghilterra, in Italia, in Francia, a Panama, in Polonia e in Sudafrica.

Maryasha e Elhanan Shagalov si erano decisi a non mandare mai i figli nelle scuole sovietiche: lì, in effetti, si incitavano gli alunni a denunciare i genitori qualora questi non si comportassero in conformità alle norme della madrepatria comunista e qualora, per esempio, pregassero o esercitassero una qualsiasi attività clandestina. Appena un bambino veniva iscritto in un istituto pubblico, i genitori non osavano più parlare di D-o, di trasmettere conoscenze sull’ebraismo e dovevano cessare ogni pratica religiosa per non correre il rischio di essere denunciati alla polizia segreta e deportati in Siberia per un viaggio di sola andata. Ben presto gli zelanti funzionari sovietici appresero che una famiglia di ebrei fanatici continuava a mantenere in vita le proprie tradizioni.

Elchanan si ostinava a rifiutare di lavorare di Shabbat nelle fabbriche nazionalizzate dal governo. Agendo in tal modo, perse i diritti ai sussidi alimentari e fu espulso da casa sua con tutta la famiglia, ritrovandosi per strada in pieno inverno in un freddo spietato. Si installarono tutti nel soppalco della sezione per le signore della sinagoga locale. I banchi diventarono letti e tavoli e servirono persino a tappare i buchi delle finestre e a mantenere un poco di intimità. Dopo l’arresto (in realtà, la sparizione) del marito, Maryasha dovette provvedere da sola al sostentamento della famiglia. C’era un’altra signora, una vedova, che occupava una delle stanze della sinagoga. Maryasha le propose di associarsi per prendersi cura del giardino nel retro dell’edificio. Allo scopo, avrebbero assunto un giardiniere per piantare patate. Lo trovarono e questi pretese quale stipendio mensile nientemeno che 50 rubli, una somma esorbitante anche in tempi normali. La vedova volle rigettare i suoi servizi ma Maryasha insistette e disse: "Hashem ci aiuterà sicuramente”. Chiese all’uomo di mettersi all’opera senza la minima idea di come l’avrebbe remunerato. Il terzo giorno, allorchè l’operaio ebbe quasi terminato il lavoro, uno straniero entrò nella sinagoga e dichiarò a Maryasha: “Sono un amico di un amico di suo marito: quando il mio amico ebbe notizia dell’arresto del Suo consorte, mi ha consegnato 50 rubli per Lei”. Sorpresa, Maryasha lo ringraziò e chiese l’indirizzo di questo misterioso conoscente per poterlo ringraziare personalmente. L’uomo le comunicò un nome e un indirizzo ma quando ella si presentò sul luogo indicato nessuno ne aveva mai sentito parlare.

Siccome le piante erano quasi pronte a produrre le patate, le due signore sorvegliavano senza sosta e con apprensione il terreno, in quanto temevano che qualcuno lo calpestasse per sbaglio e ne rovinasse il raccolto. Proprio in quel momento, a tutti gli ebrei della città giunse la notizia che le autorità si accingevano a sequestrare e bruciare tutti i libri ed i Sifrei Torà della sinagoga. Maryasha si adoperò immediatamente a salvare il maggior numero di libri possibile. Farli uscire dalla parte esterna dell’edificio sarebbe stata impresa rischiosa. Doveva necessariamente passare dal retro ma ciò significava camminare sulle coltivazioni. La sua socia rifiutò in modo reciso la richiesta di passaggio sul suo pezzetto di terra. Conclusero l’accordo di scambiarsi i terreni e così, per diverse notti consecutive, i figli di Maryasha fecero uscire i libri passandoseli di mano in mano, ma non poterono evitare di pestare i germogli. Quando la sua vicina le domandò come avrebbe fatto a nutrire tutta la progenie, ella rispose con semplicità: “Per salvare libri sacri posso fare a meno delle patate. D-o provvederà ai miei figli”. Arrivò il momento della raccolta e l’orticello fornì un numero abbondante di magnifiche patate. Ma nella parte appartenente a Maryasha, l’area che era stata schiacciata dai giovanotti sotto il peso dei libri, i tuberi erano enormi. Così Maryasha poté preparare pranzi per la famiglia intera durante lunghi mesi, ne fece usufruire pure i vicini meno “abbienti” e poté persino venderne una parte al mercato nero.

Quando ritornò “a casa” con cento rubli guadagnati dal suo commercio, l’accolse il responsabile della sinagoga che le annunciò disperatamente: “Vogliono murare l’edificio a causa dello stato precario del tetto e nessuno possiede abbastanza soldi per ripararlo. Signora, è la fine di questa sinagoga!”. Senza la minima esitazione Maryasha gli tese i cento rubli e gli disse: “Faccia il possibile per salvare questa sinagoga!”

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Come dichiarò Rav Moshe Kotlarsky, marito di una delle sue nipoti, al suo funerale: ”Era una donna bassa di statura ma gigante nella sua dedizione all’ebraismo”.

Che il suo ricordo possa fungere da fonte d’ispirazione per i suoi discendenti e per tutto il popolo ebraico!

June Goldsobel e Henia Laine