La parashà di questa settimana racconta della nascita del primo ebreo, il nostro progenitore Abramo. Vediamo cosa possiamo apprendere sull’atteggiamento del primo ebreo nei riguardi dell’educazione di suo figlio Isacco, in relazione al detto “il comportamento dei padri è una guida per i figli”.

La nascita di Isacco era stata un evento miracoloso, soprannaturale, dato che Abramo aveva 100 anni e Sara era sulla novantina quando Isacco nacque.

Tuttavia, sebbene l’esistenza corporea di Isacco si fosse realizzata con mezzo miracolosi, Abramo non contava sui miracoli quando dei pericoli minacciavano il benessere spirituale di Isacco. Infatti, per sottrarlo all’influenza nociva che Ismaele esercitava sul fratello, Abramo seguì il consiglio di Sara e allontanò Ismaele. E questa dura, ma necessaria misura, dovette costare ad Abramo un grande sacrificio! Poiché agendo così, egli andava contro la sua normale inclinazione e istinto naturale essendo egli di indole buona e gentile. In lui predominava la bontà; amico generoso di tutti i viandanti del deserto, si distingueva per la sua premurosa ospitalità: e tuttavia si vide costretto a mandare il figlio (Ismaele) lontano, nel deserto, comprendendo che il suo comportamento avrebbe potuto nuocere alla salute spirituale di Isacco, destinato a salvaguardare la continuità dell’esistenza ebraica. Egli non lasciò che le cose seguissero il loro corso e nemmeno attese che accadessero miracoli. Quando si rese conto che l’ebraicità del figlio era minacciata, prese severe misure e agì in modo pratico e deciso.

Nel corso della lunga storia del nostro popolo, abbiamo sempre avuto nemici di due specie: quelli che cercarono di distruggere il nostro corpo, come avvenne nella nostra generazione con lo sterminio di sei milioni di ebrei; e quelli che cercarono di distruggere la nostra Neshamà (l’anima), la nostra esistenza spirituale, attraverso l’assimilazione. È difficile dire quale male sia il maggiore. Da una parte, finché continua l’esistenza fisica dell’ebreo, egli può sempre fare teshuvà (ritornare a D-o e alla Torà); ma quando cessa la vita fisica non c’è più speranza di teshuvà. D’altra parte, gli attacchi contro lo spirito possono essere considerati, per due ragioni, più pericolosi: prima di tutto, ciò che minaccia lo spirito raramente è palese e, alle volte, non è nemmeno avvertibile, è un male insidioso; in secondo luogo, mentre le persecuzioni materiali provengono da chi è estraneo al nostro popolo, sorgono invece proprio dalle nostre file i nemici della nostra vita spirituale – quelli che tendono all’assimilazione – che costituiscono una minaccia assai più temibile.

La lezione che ci dà il primo ebreo, Abramo, è la seguente: quando ci sono motivi d’allarme sul normale sviluppo dei nostri figli, bisogna agire in modo positivo. È tragico che l’atteggiamento di molti genitori ebrei sia oggi completamente opposto a quello di Adamo. Quando si tratta di denaro, o del successo in società, ci si impegna a fondo; in questo caso i genitori dimostrano una straordinaria abilità, fanno i piani più particolareggiati, non lasciano niente al caso. Però, quando si tratta dell’educazione ebraica dei loro figli, quando la loro esistenza spirituale è in pericolo, i genitori decidono di confidare nei miracoli. Essi mormorano luoghi comuni privi di senso come “tutto andrà bene”, “vedrai che diventerà, ad onta di tutto, un buon ebreo, “il Sign-re ci aiuterà” e così via. La condotta di Abramo ci dà l’esempio dell’assoluto ripudio di un simile atteggiamento! Quando si tratta del benessere spirituale dei nostri figli, dobbiamo essere pronti ad agire e a fare sacrifici. Perfino ciò che si fa contro il proprio istinto naturale è talvolta necessario per assicurare la sopravvivenza tanto spirituale che fisica dei nostri figli.

(Saggio è basato in parte su Likkuté Sichot vol. IV, p. 1250; a cura di rav Shmuel Rodal).