Nell’estate del 1976, il Ministero Israeliano della Difesa organizzò un viaggio negli Stati Uniti per un gruppo di soldati disabili, vittime delle diverse guerre che il paese aveva conosciuto fino ad allora.

Nel corso del viaggio si recarono dal Rebbe di Lubàvitch: furono fatti salire con le loro sedie a rotelle su dieci grandi pullman, che li trasportarono dal loro albergo a New York fino a 770 Eastern Parkway, dove si trovava la sinagoga.

Il Rebbe fu particolarmente commosso. Con il sorriso sulle labbra li accolse calorosamente, stringendo la mano di ciascuno di loro per diversi minuti e trasmettendo parole di incoraggiamento.

Successivamente si rivolse al gruppo pubblicamente e si espresse in questi termini: “Se una persona è stata privata di un organo, di un arto o di qualche facoltà, questo significa che D-o gli ha concesso delle forze speciali per poter superare le restrizioni e compiere ciò che un uomo ‘normale’ non riesce a compiere. Voi non siete né disabili né infermi, siete delle persone speciali e uniche e possedete delle potenzialità che nessun altro possiede. Suggerisco quindi che non vi si indichi più come gli “infermi” o i “disabili” di Tzahal (l’esercito dello stato s’Israele – n.d.T.) ma come i “distinti” di Tzahal, termine che sottolineerebbe la vostra peculiarità”.

Teniamo a mente che, a quell’epoca, questo approccio non era comune, nemmeno tra i medici, che usavano ancora dei termini con connotazione negativa. Il Rebbe invece applicò in quel caso l’adagio chassidico “pensa bene e tutto andrà bene”.

A questi uomini, che avevano perso l’uso dei propri arti per difendere il loro popolo, il Rebbe trasmise parole confortanti, calorose ed ottimiste. Alcuni di essi ammisero che si trattò della prima volta che sentivano parole positive senza recepire nessun atteggiamento di pietà, di colpevolezza o peggio di repulsione.

Quando il Rebbe tornò nel suo ufficio, il suo segretario rivelò che gli ci volle una settimana per riprendersi da questo incontro…