di Lino S. Haggiag
Il discorso che segue è stato pronunciato in Israele, lo «Shabbat Mikkez 5750» (Sabato 30 Dicembre 1989), in occasione di un «Bar Mitzvà» e viene pubblicato per le riflessioni e considerazioni di carattere generale in esso contenute.
Due cerimonie importanti per un ebreo sono: la Milà e il Bar Mizvà.
La prima lo definisce tale, attraverso la circoncisione, quello straordinario patto di sangue con D-o, che lo traumatizza inconsapevolmente ma positivamente per tutta la vita e lo rende diverso dai non circoncisi.
La seconda segna per lui l'inizio di un nuovo status che gli permette e lo invita ad agire come si addice ad un ebreo nel vero senso della parola; ormai è uscito dall'infanzia e, d'ora in poi, dovrà conformarsi ai tradizionalì doverì dell'uomo.
L'ebraismo richiede lo studio da parte del ragazzo con il maturare della sua intelligenza, e considera che egli non ha ancora una mente atta ad afferrare i concetti né la fermezza per attenersi alle prescrizioni della Torà, fino all'età di tredici anni.
Soltanto allora cessa per il padre l'obbligo di sorvegliare i doveri religiosi del figlio e il ragazzo ne assume le responsabilità.
Il giovane diviene così Bar Mitzvà, o figlio del precetto, cioè obbligato all'osservanza delle 613 mitzvòt i precetti biblici che sono sintetizzati nei Dieci Comandamenti, così come sommando 6 più 1 più 3, che sono i numeri corrispondenti a 613, si ottiene il numero dieci.
Attraverso i Dieci Comandamenti si arriva all'Uno che corrisponde alla comunione con l'unità e l'unicità di D-o.
Compiuto il tredicesimo anno, il giovane celebra con particolare solennità la sua entrata nella maggiorità ebraica, il minian (numero), che rappresenta una pietra miliare nell'infanzia dell'ebreo e gli consente, fra l'altro, di concorrere a formare il numero di dieci adulti, prescritto per alcune particolari funzioni religiose.
È scritto che la preghiera detta con sincera partecipazione, kavanà, da almeno dieci adulti, contribuisce ad avvicinare all'uomo la Shechinà, che è la presenza D-vina, nell'espressione più sublime.
I genitori hanno l'obbligo morale di sorvegliare i doveri religiosi dei propri figli, perché l'uomo è un animale abitudinario che teme l'ignoto.
Se ci si brucia, infatti, mettendo una mano sul fuoco, si eviterà di rifarlo.
È così che si acquisisce, per combattere l'ignoto, un bagaglio infinito di abitudini, consapevoli o inconscie, basato su esperienze che abbiamo superato senza danno.
Anche le 613 mitzvòt sono in certo qual modo abitudini che dobbiamo acquisire su quanto dobbiamo e quanto non dobbiamo fare.
Alcuni sostengono che il bambino non ha bisogno di un'educazione religiosa e che potrà scegliere il modo di vita che riterrà più opportuno quando diverrà adulto.
È semplicemente assurdo.
Il bambino non ha ricevuto sane abitudini religiose durante l'infanzia e l'educazione giovanile, nella stragrande maggioranza dei casi, non sceglie proprio nulla quando diviene adulto, perdendo così l'opportunità di attingere a quei meccanismi vivificanti, avvalorati attraverso i secoli, che gli consentono per lo meno una migliore qualità di questa vita e - per chi ci crede - di quella avvenire.
Tutto è confutabile in questa vita se non si accettano postulati di discussione, che sono essenziali strumenti di partenza di ogni ragionamento, senza i quali nessuna comunicabilità è possibile.
L'assioma essenziale che dobbiamo accettare perché la Torà renda accessibili i suoi aspetti più reconditi è che il S-gnore si è rivelato sul Monte Sinai, dandoci i Dieci Comandamenti per insegnarci ad amarlo e ad amare il nostro prossimo, creato come noi tutti all'immagine di D-o.
Attraverso lo straordinario impatto con l'infinito, che non ha limiti di tempo e spazio, il S-gnore si è rivelato alla generazione della Teofania, che così si chiama per avere appunto ricevuto i Dieci Comandamenti, coinvolgendo le anime di tutte le generazioni in tutte le lingue conosciute.
Con tale impatto infinito la generazione della Teofania (giovani, anziani e bambini), ha ricevuto in certo qual modo il dono dell'uniquità, come in un sogno stupendo, incommensurabile, che amalgama passato, presente e futuro. Subì una carica profetica così straordinaria da essere considerata, in ogni singolo individuo di detta generazione, maggiore di quelle dei più grandi profeti della storia.
Tale testimonianza fu trasmessa alle generazioni successive, anche se con l'intensità sempre minore, attraverso quei segni, come nodi al fazzoletto, che sono i tefillìn (filatteri) e le mezuzòt.
«All'inizio» - dice la Genesi - «il S-gnore creò il cielo e la terra» ed in quell'inizio, che la Scienza moderna chiama «Big bang», furono create le anime degli uomini di tutte le generazioni.
Tali anime sono scaturite e scaturiranno tutte dall'anima primordiale del primo uomo, Adamo, per poter santificare all'unisono il S-gnore in Gan Eden, (il Giardino dell'Eden), in un sabato eterno, a contatto diretto con la Shechinà. Tale sacro amplesso è lo scopo della vita e, perché, potesse estrinsecarsi, D-o ha concesso all'uomo una scintilla di se stesso, il ruach, autentico autonomo irrevocabile libero arbitrio, senza il quale l'atto d'amore non sarebbe tale.
Ma Adamo ed Eva scelsero il peccato originale.
Fu così che ebbero inizio il tempo e le peregrinazioni dell'uomo nell'universo onde purificarsi e tornare al nontempo dell'eternità, nel ritrovato sabato messianico del Paradiso Terrestre.
Fra le 613 mitzvòt che compendiano la Torà, primeggia quella relativa al sabato, che costituisce sia l'era messianica primordiale, quando l'uomo era in Gan-Eden a contatto diretto con la Shechinà, sia l'era messianica avvenire quando i giusti di tutte le generazioni, i cultori della Torà, gli osservanti delle mitzvòt e, prima di chiunque altro, gli uomini di tutti i tempi risorgeranno per bearsi della presenza Divina.
Come dice lo Zohar, tutte le anime sono parti di un'unica anima primordiale, quella di Adamo. Esse erano state originariamente programmate eterne, così come i corpi dovevano essere eterni, nella loro caratterizzazione di ogni singolo uomo, e godere del Paradiso Terrestre. Con il peccato originale e con il conseguente inizio del tempo, nasce l'ineluttabilità della morte. Ma le anime che, nell'arco della loro vita terrena, se ne saranno dimostrate degne, con un giro continuo, che si ripeterà in eterno, risorgeranno alla loro eternità e torneranno nel Giardino dell'Eden.
Secondo il Midrash Bereshit Rabbà, dopo la morte, rimane sempre di ogni corpo una piccolissima vertebra che si trova alla sommità della spina dorsale, tra il collo e la nuca, dove è posto il nodo della parte posteriore dei Tefillìn che si allaccia alla fronte.
Quando Mosé chiese al S-gnore di poterlo vedere come, in tutta la Sua gloria, il S-gnore gli permise di scorgerlo solo di spalle, mentre si allontanava; e Mosè ebbe la visione della parte posteriore di uno straordinario tefillìn, quello appunto che si allaccia alla fronte ed è posto tra il collo e la nuca.
Questa vertebra, come il lievito nella pasta, D-o la scioglierà nella «rugiada della Resurrezione».
Come dice Isaia nel verso 19 del Cap. XXVI: «Rivivranno i Tuoi morti, i miei caduti risorgeranno, si desteranno coloro che abitavano nella polvere, perché rugiada di luci è la Tua rugiada e la terra farà cadere le ombre».
È un canto antifonale sulla Resurrezione dei morti introdotto come risposta alla sofferenza ed all'angoscia apparentemente senza spiegazione.
Il verso è stato variamente interpretato come resurrezione dell'uomo e come promessa della resurrezione nazionale di Israele.
La prima voce dice: «Rivivranno i Tuoi morti»; la seconda aggiunge: «I miei caduti risorgeranno»; ed ambedue all'unisono, cantano ciò che l'Onnipotente dirà il giorno della Resurrezione: «Si desteranno ed esulteranno coloro che abitavano nella polvere».
La terza voce, rivolgendosi verso il Cielo afferma: «Perché rugiada di luci è la Tua rugiada».
Tutti all'unisono diranno: «E la terra farà cadere le ombre».
«Rivivranno i Tuoi morti » è indirizzato ad Israele;
«I miei caduti risorgeranno » è la fiduciosa certezza dell'uomo» ;
«Si desteranno ed esulteranno» si riferisce alla resurrezione che porterà ad una nuova vita spirituale dell'uomo, durante la quale i risorti si dedicheranno ad esercizi di devozione ed al canto di inni e lodi al S-gnore;
«la Tua rugiada» riflette il principio vivificante che D-o riporta i morti alla vita come la rugiada vivifica la vegetazione; «rugiada di luci» è la rugiada spirituale che discenderà sui morti per riportarli alla vita.
Il Talmud Sanhedrin aggiunge: «E non torneranno più alla terra».
La vita sarà eterna.
«Quelli che dormono nella polvere della terra si desteranno gli uni per la vita eterna, gli altri per l'obbrobrio, per una eterna infarnia» (Daniele XII-2).
Il Bar Mizvà perciò deve essere invece un punto di partenza nello studio, nella preghiera e nell'azione.
L'unica imperitura realtà nella vita dell'uomo sono le sue scelte ed azioni d'amore. Tutto il resto, come dice l'Ecclesiaste, è solo vanità.
Ricordarsi, ogni giorno della vita, salvo i Sabati e parte delle festività, di indossare con orgoglio, quale protezione della vita, i tefillìn, le due scatole di cuoio nero che contengono, scritto su pergamena, lo Shemà, sintesi dei Dieci Comandamenti e proclamazione dell'Unità ed unicità di D-o.
In tal modo si conformerà alla legge di Mosè laddove dice: « Legherai queste parole sul tuo braccio come simbolo e saranno per frontali tra i tuoi occhi », s'intende con ciò dedicare quotidianamente il braccio, il cuore e il cervello a D-o e significando altresì nel modo più eloquente la sentita e orgogliosa appartenenza ad Israele.
L'uomo non deve mai abbandonare la Torà, e particolarmente il « Chummash », o cinque libri libri di Mosè, che vengono letti ogni anno in quelle magnifiche palestre di studio, che sono le Yeshivot e le sinagoghe di tutto il mondo.
Il Pentateuco è diviso in 53 sezioni, o Parashòt settimanali, ognuna delle quali caratterizza e dà il nome, in tutte le latitudini, ad ogni particolare «shabbat».
Le Parashòt, e parte di esse, si recitano ogni anno, senza mai interrompere la lettura, il sabato, il lunedì e il giovedì di ogni settimana, perché la Torà non ci manchi mai per più di tre giorni, e possa integrarsi in tutti gli anni della nostra vita di adulti, ed essere costantemente rivissuta, oltre che riletta.
Ogni anno le Parashòt possono ricommentarsi dalle più svariate angolazioni e dischiudere verità e riflessi di luce che, più di ogni altra cosa al mondo, ci avvicinano a D-o e ci pongono in uno stato di emozione e di autentica estasi.
Parliamone