Il rigetto è uno degli strumenti più blandi usati nella nostra società per regolare comportamenti indesiderati. Siamo convinti che la minaccia di imprigionamento impedisca un potenziale criminale a commettere atti abbietti. E un individuo colpevole è in effetti incarcerato ed escluso dalla società per impedirgli di esserle nocivo. Nella Torà si parla di isolamento, la “Tzaraàt - la lebbra” che veniva inflitta da Hashem alla persona che avesse sparso la maldicenza (Lashon Harà). La sua punizione era all’altezza del suo crimine: proferendo parole calunniose su uno dei suoi prossimi egli ha provocato il suo isolamento e seminato zizzania tra la sua gente. Secondo quale criterio si dichiarava una persona affetta da tale impurità? La persona che vedeva apparire una prima pustola si presentava davanti al Cohen (Sacerdote) che lo esaminava scrupolosamente e lungamente prima di emettere il verdetto di “Metzorà-lebbroso”.

Perché proprio il Cohen? Perché incaricare di tale mansione un Cohen, la cui specificità era proprio la purità e la bontà? Oltre al suo servizio presso il Bet-Hamikdàsh (Tempio), egli fungeva da intermediario tra D-o ed il Suo popolo tramite le ben note benedizioni sacerdotali. La sentenza era preceduta da una lunga e cavillosa autoanalisi. Il sacerdote doveva accertarsi di essere mosso da sentimenti di bontà, al fine di concedere le attenuanti al reo. Se lo dichiarava Metzorà gli tendeva comunque una mano. Un Cohen che dubitasse della propria sincerità si ritirava e si asteneva dal pronunciare le benedizioni già accennate. La punizione di un essere umano, in sé, non risulta molto efficace a migliorare atteggiamenti o inclinazioni delittuose se non è incentivata da un elemento importante: l’amore fraterno. Se un individuo si sente respinto dalla società si scoraggerà facilmente e perderà lo stimolo a condurre vita produttiva ed onesta. Questo è il ruolo del Cohen: non perdere di vista il sentiment di umanità che dobbiamo anche noi tutti serbare nei confronti delle persone che abbiano perpetrato scelleratezze. Gli altri membri della comunità non devono permettersi di giudicare parzialmente un loro prossimo. Solo il Cohen è autorizzato a farlo e solo dopo lunghe e meticolose riflessioni nonchè una profonda introspezione per sincerarsi che il proprio cuore sia limpido e sgombro da ogni traccia di intolleranza.

Scrutare oltre l’esteriorità

L’esilio ci separa anch’esso gli uni dagli altri e scinde la nostra persona in due. Se invece invochiamo le forze positive che ci abitano e che applichiamo solo il bene, libereremo noi stessi e la società dalla trappola dell’isolamento e della discordia. Così, la prossima volta che incontrerete negli altri un difetto fastidioso, non voltate loro le spalle e, seguendo l’esempio del Cohen, scrutate oltre l’imperfezione esteriore, guardate l’anima. Il vostro sguardo benevolo sarà molto più efficiente di intransigenti condanne. Questi piccoli gesti di unione e di indulgenza possiedono la forza di cambiare la faccia della nostra società, di tramutarla da giungla fredda e spietata che è in un luogo ove la pace, la serenità e l’armonia potranno regnare.

(Tratto da Likutè Sichòt)