"Voi siete oggi tutti quanti presenti davanti al Signore vostro D-o.."

Il verbo nitzavïm (siete presenti) significa letteralmente "state in piedi": molto spesso nella letteratura rabbinica ci si riferisce agli angeli come a coloro che stanno in piedi e agli esseri umani come a coloro che camminano, progrediscono (holkhim).

Questo significa che la natura degli angeli non è, e non può essere, soggetta a miglioramento, ma è destinata a rimanere quella che era al momento della loro creazione. Gli uomini, al contrario, hanno in sé un enorme potenziale di crescita, posseggono la capacità di progredire e migliorarsi continuamente.

Ecco allora che Mosè ammonisce il popolo in questo modo: voi oggi siete in piedi, in una posizione stazionaria davanti al Sign-re. Ognuno di voi si è creato la propria nicchia confortevole, ma non è questo che D-o vuole da voi. Voi, come Ebrei, siete chiamati a progredire continuamente, a sforzarvi per elevarvi e raggiungere il massimo del vostro potenziale spirituale.

Questo è un concetto particolarmente caro a Mosè. Nel commentare i primi versetti della parashà di Vayelekh "Io sono ormai giunto all’età di centoventi anni e non posso più andare e venire con facilità, ed il Sign-re mi ha detto: 'Tu non passerai questo Giordano'"…il Rebbe di Gur spiega che, giunto all’età di centoventi anni, Mosè ha raggiunto il massimo grado di elevazione spirituale cui un uomo possa ambire. L’unica sua possibilità di ulteriore crescita sarebbe nella terra d’Israele, ma, dal momento che il passaggio del Giordano gli è negato, egli non ha più modo di progredire.

Per Mosè, però, vivere significa crescere. Ecco perché, quando comprende che la decisione di D-o di non farlo entrare in Israele è definitiva e irrevocabile, accetta di buon grado l’idea della morte. Senza la possibilità di migliorarsi, la vita si riduce a mera esistenza, e questo sarebbe intollerabile.

Mosè è chiamato Rabbenu, nostro maestro: questo significa che dobbiamo trarre insegnamento non soltanto dalle sue parole, ma anche dalla sua vita e dalla sua morte. Al contrario di lui, che ha pienamente realizzato il suo potenziale, noi abbiamo di fronte ancora un lungo cammino di crescita. Dobbiamo aspirare a vivere, non semplicemente ad esistere. Quello che Mosè ci ha insegnato è l’ideale di vita della Torà.