Quando in un uomo ci sarà il male della tzara’at dovrò essere portato dal sacerdote. (Vayiqra 13, 9).

(La tzara’at, termine che di solito si traduce impropriamente con lebbra, si manifesta con veri tipi di ulcere e piaghe, comunque malattie della pelle difficilmente identificabili. Non è noto perché le affezioni di questo tipo rendano generalmente impuro l’individuo e perché alcune di esse, invece, lo lascino puro. Lo stato di impurità, di per se stesso, non è considerato peccato, ma tuttavia impone all’individuo determinate limitazioni: in modo particolare, gli era proibito entrare nel Santuario e cibarsi di vivande sacre. Da Il Pentateuco e Haftaroth, traduzione italiana e note a cura dell’Assemblea dei Rabbini d’Italia).

Rabbi Asher di Stolin disapprovava quei chassidim che, quando si recavano in visita al loro rebbe, mettevano in mostra solo i lati migliori della propria persona, nascondendo, invece, ciò che di poco attraente era in loro.

«Quando mi recavo in visita al mio Rebbe (che era Shlomo di Karlin e rabbi Asher si baciava la punta delle dita nel menzionare quel nome così carismatico) – ricordava lui – cercavo di nascondere ciò che di buono che c’era in me, forse che il Rebbe ha il compito di D-o distribuire ricompensa e punizione? Volevo, piuttosto, mostrare il male che c’era in me, perché la Torà comanda all’uomo di mostrare al Sacerdote tutti i sintomi delle piaghe che sono in lui…».