Maimonide sostiene che chi è abituato a parlare degli altri finisce col negare D-o: cosa ha Egli a che fare con quello che questa e quella persona hanno detto e hanno fatto? La Torà parla della malattia della tzaraat, tradotta come “lebbra”. Una delle cause classiche della malattia era la lashon ra, tradotta comunemente come “maldicenza” e che comporta invece anche il solo pettegolezzo benevolo. Rettificata la colpa, la persona guariva. Si trattava di una malattia piuttosto severa, poiché non era considerato impuro solo il lebbroso ma egli contaminava anche chiunque entrasse in contatto con lui. La Mishnà spiega che se una persona colpita da tzaraat entrava in una casa, gli utensili della casa diventavano immediatamente impuri. Rabbi Yehudà sostiene che il proprietario della casa aveva la facoltà di chiedere al lebbroso di uscire, prima che gli utensili venissero contaminati; il lasso di tempo che il proprietario aveva a disposizione prima che fosse troppo tardi corrisponde al tempo che ci vuole per accendere una candela (Negaim cap. 13).

Istanti e Minuti

I commentatori discutono l’intervallo di tempo stabilito da Rabbi Yehudà. Accendere una candela è un’azione quasi istantanea: nell’esatto momento in cui si avvicina il fuoco al materiale infiammabile, ecco che si sprigiona la fiamma. Nel nostro caso, questo non concede al proprietario così tanto tempo: egli deve accorgersi che il lebbroso è entrato in casa sua e chiedergli di uscire, il tutto in un istante! I commentatori concludono che Rabbi Yehudà non si riferisce a una candela qualsiasi ma ai lumi dello Shabbàt. Accendere i lumi del sabato è un’azione mirata e una procedura ininterrotta che si completa solo nel giro di parecchi minuti. In questo caso, il proprietario avrebbe sì il tempo di salvare i propri utensili. Per Rabbi Yitzchàk Schneerson, padre dell’ultimo Rebbe di Lubàvitch, il fatto che ci si riferisca ai lumi dello Shabbàt è qualcosa di più di un calcolo tecnico. Queste candele sono l’antidoto perfetto alla tzaraat: per tutto il tempo in cui una persona è impegnata ad accendere i lumi del sabato, è immune dalla lebbra.

L’Approccio Mistico

Da un punto di vista kabbalistico, la tzaraat è la conseguenza della perdita dell’or hachochmà, la luce della saggezza; il lebbroso ha una consapevolezza ridotta, e il lume del suo intelletto è stato eliminato. Accendere le candele dello Shabbàt ripristina il lume della saggezza, illuminando e ampliando la consapevolezza di colui che le accende, irradiando la sua casa, l’ambiente circostante e il mondo intero. Nel momento in cui la persona è investita di una consapevolezza più grande, è immune dall’impurità della tzaraat, che corrisponde a una consapevolezza limitata. Le mitzvòt sono paragonate a una candela e la Torà alla luce (Proverbi 6:23). Un precetto illumina la nostra prospettiva, rivelandoci la mano di D-o dietro ogni evento terreno. Secondo lo Zòhar, il precetto più illuminante di tutti è proprio quello delle candele dello Shabbàt (Zòhar 2:166a), che illuminano in senso letterale, e la cui luce fisica è una versione tangibile della luce metafisica che proviene da ogni mitzvà. Essenzialmente, i lumi dello Shabbàt sono il simbolo di tutto l’ebraismo.

L’Approccio Talmudico

Il Talmùd spiega questo precetto in termini pragmatici: durante lo Shabbàt è proibito accendere alcun fuoco, e ci viene comandato di accendere i lumi prima del tramonto in modo che nessuno inciampi su pietre o rami perché non li ha visti. Di conseguenza, procurando la luce per vedere, i lumi portano anche la pace in casa (Shabbàt 23b). Perché però il Talmùd menziona pietre e rami? Non sarebbe sufficiente dire che le candele danno luce in casa in maniera che nessuno inciampi?

L’Approccio Chassidico

Il Rebbe vede un messaggio più profondo: i Maestri del Talmùd vogliono evitare che si inciampi proprio su pietra e legno, i materiali che venivano usati per fabbricare gli idoli. L’idolatria è bandita poiché attribuisce valore a cose completamente vane. Nonostante oggi non siamo attratti da questo tipo di idolatria, la società ci sottopone ad altre tentazioni, anch’esse idolatre poiché rivolte a falsi valori: denaro, intelletto, notorietà… tutto quello, insomma, che funziona da sé, senza bisogno dell’aiuto Divino. Allora, dice il Talmùd, se accendiamo il lume della nostra saggezza e consapevolezza, ci rendiamo conto che tutti questi idoli sono gli strumenti che l’Onnipotente utilizza per permetterci di vivere. È questa consapevolezza che ci procura serenità e tranquillità, che porta la pace nella nostra casa. Quando siamo impegnati ad accendere i lumi dello Shabbàt siamo immuni dalla tzaraat, che se ne sta lì, sulla soglia di casa, ma non invaderà il focolare domestico. Se siamo avvolti dalla consapevolezza di D-o, la consapevolezza inferiore che la lebbra porta non ci toccherà.

Di Rochel Holzkenner, chabad.org