La parashàt HaChòdesh (Esodo 12:1-20) è la sezione di Torà che riporta il precetto di preparare il sacrificio pasquale e le relative norme; riporta anche il precetto per cui Nissàn è il primo mese. Questa sezione viene sempre letta lo Shabbàt che precede il capo mese Nissàn (dopo aver letto la parashà settimanale), e questo Shabbàt prende il nome di Shabbàt HaChòdesh – Lo Shabbàt del Mese. “Questo mese sarà per voi il primo dei mesi; sarà il primo dei mesi dell’anno” (Esodo 12:2: questa è la prima mitzvà data al popolo ebraico. (Secondo il Midràsh, la Torà non comincia con questa mitzvà, ma dalla creazione del mondo, solo per la necessità di stabilire il dominio di D-o sul creato e il Suo conseguente diritto di dare Èretz Israèl agli ebrei.)

Questo primo comandamento è la base e il prototipo di tutte le altre mitzvòt. I Maestri infatti affermano: “Quando D-o scelse il Suo mondo, vi stabilì i capi mese e gli anni: e quando scelse Giacobbe e i suoi figli stabilì il mese della redenzione in cui essi sarebbero stati redenti dall’Egitto e saranno destinati ancora ad essere redenti” (Shemòt Rabbà 15:11.).Ya’acòv e i suoi figli – il Popolo d’Israèl – furono scelti per compiere la Sua missione nella creazione di portare la redenzione nel mondo.

Come il mese di Nissàn è stato scelto per la redenzione, così tutte le mitzvòt sono un mezzo attraverso cui l’ebreo redime se stesso e il mondo, e introduce la luce Divina dove prima c’era oscurità.

La parola “chòdesh”, “mese”, ha le stesse lettere della parola “chidùsh”, “novità”. I precetti vanno osservati tutti i giorni, ma non devono diventare routine; vanno compiuti con entusiasmo e sincerità e, com’è scritto in più fonti, “ogni giorno (la Torà e le mitzvòt N.d.R.) devono essere nuove ai tuoi occhi”. Questo insegnamento è enfatizzato dal Rosh Chòdesh (capo mese) Nissàn, che segna l’inizio del nuovo anno per i sacrifici collettivi offerti in nome di ogni ebreo. Da questo giorno, venivano offerti solo sacrifici acquistati con i nuovi contributi annuali.

Rinnovarsi

Ai nostri tempi, il servizio verso D-o – in particolare la Tefilà, preghiera – sostituisce i sacrifici (Vedi Berachòt 26b), e il mese di Nissàn segna l’inizio di un nuovo livello di servizio, più profondo. La lettura della parashàt HaChòdesh è il mezzo attraverso cui l’ebreo riceve la capacità di svolgere questo servizio. Questo concetto è rispecchiato nella procedura con cui si stabilisce l’inizio di un nuovo mese. Ai tempi del Bet Hamikdàsh, il Rosh Chòdesh veniva stabilito osservando la luna nuova nel cielo. Un attimo prima della sua apparizione, la luna è completamente nascosta, come inesistente. Subito dopo, comincia di nuovo a risplendere. I Maestri paragonano Israèl alla luna: come la luna è destinata a rinnovarsi periodicamente, così anche il popolo ebraico. La rinascita della luna rappresenta un nuovo livello. Il servizio del mese precedente può essere stato perfetto, ma la luna nuova insegna che i traguardi del nuovo mese possono essere ancora più alti, anche al punto da eclissare quelli precedenti, trascenderli e farli apparire inesistenti.

Come si possono osservare la Torà e le mitzvòt in maniera completamente nuova essendo routine quotidiana? La risposta è derivata dal secondo aspetto della parashàt HaChòdesh: il sacrificio del pèsach. La parola “pèsach”, com’è noto, significa “passare oltre”, “saltare oltre”. Un ebreo, prigioniero delle proprie limitazioni, non può superare l’osservanza meccanica dei precetti se non saltando oltre la sua esistenza egocentrica, consegnandosi totalmente a D-o. Allora sperimenterà la redenzione di se stesso, essendosi liberato dalle proprie costrizioni.

Il servizio verso D-o però non si limita allo studio della Torà e all’osservanza dei precetti; la Torà prescrive che “tutte le tue azioni siano in nome del Cielo” (Massime dei Padri 2:12) e “Lo conoscerai in tutte le tue vie” (Proverbi 3:6). Le azioni e le “vie” sono associate al corpo, che è pure parte del servizio verso D-o. Come si arriva a uscire dalla propria natura con qualcosa che appartiene al nostro corpo? D-o e l’ebreo sono uniti. La Divinità è preminente nella vita dell’ebreo, che si occupa del mondo materiale solo perché la Torà gli dice di farlo: ogni azione diventa quindi un atto di Torà, compiuto in nome del Cielo.

Tratto da Likuté Sichòt Vol. XVI