Rameru, una piccola località in Francia, dove il celebre Rabbenu Yaacòv Tam (eminente tossafista, nipote di Rashì) aveva fondato la sua Yeshivà, faceva parte delle poche cittadine scampate alla selvaggità dei Crociati, i quali, prima di partire per la Terra Santa, saccheggiarono e massacrarono migliaia di ebrei indifesi.

Uno dei più giovani discepoli di Rabbenu Tam era Yossèf, figlio di un ricco finanziere di stanza alla corte del vescovo di Treviri, grande città in riva al Reno.

All’età di dodici anni, Yossèf fu mandato alla Yeshivà di Rameru per studiarvici e diventare un erudito. Sebbene fosse molto legato alla famiglia e in modo particolare a sua madre, lasciò la casa paterna e le relative comodità per dedicarsi allo studio in quella scuola talmudica. Grazie alle sue spiccate facoltà intellettuali, fece enormi progressi e al termine di tre anni di studio intensivo in una classe di livello superiore, diventò presto il migliore di tutti. Sperava in cuor suo di diventare sapiente quanto gli studenti più anziani che erano già giovani rabbini destinati a diventare capi spirituali nelle comunità.

Un pomeriggio, Yossèf si mise a passeggio per i campi. Dal mattino di buon’ora si era dedicato ai suoi libri e vagando così a caso, prendendo un sentiero in una foresta, pensava a tutto ciò che aveva imparato quel giorno e cercava di ripassarsi a mente le lezioni per capirne ancora meglio il contenuto. Ad un tratto, udì il rumore di un galoppo. Si girò e vide un uomo mascherato a cavallo che veniva con andatura veloce nella sua direzione, tenendo sulla sella un adolescente gracile e ben vestito che doveva essere coetaneo di Yossèf.

Si mise subito a lato del sentiero per non farsi investire riuscendo, però, a intravedere il ragazzino il cui viso implorava soccorso.

Yossèf ebbe pietà ma non poté far nulla, senza cavallo e senza armi. Vide che il cavaliere si era staccato dalla strada principale ed era penetrato nella foresta, così, seguì le impronte lasciate dagli zoccoli prendendo le dovute precauzioni per non farsi notare.

La notte era già calata ma il nostro eroe continuava il suo inseguimento. Un’ora dopo, udì i nitriti di un cavallo. Si avvicinò e trovò il cavaliere mascherato che dormiva sull’erba. Il giovane prigioniero era legato ad un albero e l’animale era legato alla cintura del padrone con una lunga corda.

Yossèf fece cenno al prigioniero di non muoversi. Lo liberò e tagliò la corda a cui era legato il cavallo. Fece montare il ragazzino con lui sulla sella e se ne scapparono insieme. Yossèf ora era grato a suo padre che gli regalò un pony quando era piccolo sul quale si era esercitato a cavalcare.

Nel frattempo, il misterioso rapitore fu svegliato dallo scalpitare del suo animale. Tentò di disarcionare Yossèf, ma questi riuscì a svincolarsi zigzagando tra gli alberi. Mezz’ora dopo, i due fuggiaschi erano fuori pericolo. Si fermarono presso un piccolo ruscello e Yossèf verso dell’acqua sul ragazzino che era svenuto di paura e di fatica. Quando riprese i sensi raccontò ciò che gli accadde. Era figlio di un conte potente che viveva in un castello non lontano da Rameru. Era stato rapito mentre cacciava falchi. Era molto riconoscente al suo salvatore e perciò gli chiese di venire a stare con lui da suo padre, il conte. Yossèf respinse la proposta perché sapeva che uno student e della Yeshivà non era fatto per il tipo di vita da castellano. Indi, gli diede il cavallo, gli indicò la direzione da prendere e prese congedo da lui. Il fanciullo gli diede una catena d’oro che aveva al collo e Yossèf non poté rifiutare questo segno di gratitudine.

Qualche anno dopo, un giorno di Shavuòt dell’anno 4907 (maggio del 1147), una compagnia di crociati attaccò Rameru e devastò la Yeshivà di Rabbenu Tam. Gli studenti e gli insegnanti furono trascinati in un campo dove si trovavano già altri ebrei in cattività, appartenenti alla comunità di Rameru le cui case erano state depredate e incendiate.

Yossèf, ormai adulto, era diventato uno degli allievi preferiti del rabbino capo. I crociati lo incatenarono col maestro prima di eseguire il loro macabro progetto di massacrare tutti gli uomini ebrei. Avevano già catturato Rabbenu Tam (così riferì Efràim ben Yaacòv, poeta e storico del martirio degli ebrei di quell’epoca) e cominciarono a picchiarlo con delle sbarre di ferro. Il rabbino sanguinava da quattro profonde ferite alla testa quando un cavaliere, a capo di un gruppo di uomini, sopraggiunse. Avvicinandosi al gruppo delle vittime, riconobbe il medaglione che usciva dalla camicia strappata di Yossèf.

Balzando dalla sella, lo abbracciò e gli rivelò che era lui il giovanotto che aveva salvato qualche anno addietro e che non si era dato pace finché non lo avrebbe trovato.

Gli assassini, sopraffatti dallo stupore, non osavano più alzare la mano su altri ebrei e quindi fuggirono poiché il cavaliere minacciò di uccidere con le sue proprie mani chiunque avrebbe osato nuocere ai suoi cari amici. Ed è così che, grazie ad una buona azione compiuta da un ragazzino, uno dei più grandi Saggi di Israele, Rabbenu Tam, fu salvato da morte sicura.