L’uso di dare tzedakà prima di pregare proviene dal Talmùd, dove è scritto: “Le vie di D-o non sono come quelle dei mortali. Come è tra gli umani? Se un uomo porta un regalo a un re, forse verrà accettato, e forse non verrà accettato. Anche se verrà accettato, non è sicuro che sarà ammesso alla presenza del re. Non è così con D-o. Se una persona dà una monetina a un mendicante, viene ritenuta meritevole di ricevere la Presenza Divina, come è scritto, ‘Guarderò la Tua faccia con (attraverso N.d.R.) tzèdek (carità)’ (Salmi 17:16).” Perciò, dice il Talmùd, Rabbi Eleazar dava un soldo a un pover’uomo e subito dopo iniziava a pregare (Bava Batra 10a).

Quindi, a livello basilare, dare tzedakà prima della preghiera è come dare un dono a un re prima di presentare un’istanza. A un livello più profondo, D-o, che è infinito, provvede con immensa bontà a tutte le nostre necessità materiali (a volte perfino a quelle insignificanti). Dando tzedakà e facendo altri atti di bontà, sollecitiamo la bontà di D-o.

Rav Shmuel, il quarto rebbe di Chabad, ragionava al riguardo: la preghiera deve andare di pari passo con la vita. Dando tzedakà a una persona meno abbiente e dandole vita, la propria preghiera personale è pervasa da un grande senso di vitalità. (Mentre diceva queste parole il Rebbe fece un movimento con le mani con un gesto verso l’alto per indicare che l’accrescimento supera l’immaginazione).

In effetti, suo figlio Rav Shalom Dov Ber cercava spesso una persona indigente per darle da mangiare prima di iniziare a pregare.

Quando dare?

Cosa significa “prima di pregare”? secondo l’interpretazione maggiormente accettata significa prima che la preghiera abbia inizio.

Siccome la maggior parte dei casi in cui si menziona la “preghiera” nel Talmùd e nel Codice delle Leggi ebraiche si riferisce all’Amidà (la preghiera silenziosa), alcuni hanno l’usanza di dare tzedakà immediatamente prima dell’inizio dell’Amidà. Tuttavia, siccome fare un’interruzione in questo punto della preghiera è alquanto problematico, alcuni seguono l’usanza dell’Arizal (basata su motivi kabbalistici) che dava tzedakà mentre diceva le parole ve’ata moshel bakol (e Tu regni su tutti) tratte dalla preghiera “Vaivarech David”.

Il Rebbe di Lubavitch invece nota che il motivo della tzedakà prima dell’Amidà non è lo stesso della tzedakà prima della preghiera. Perciò, l’usanza diffusa è di darla prima dell’inizio della preghiera (e per chi segue l’usanza dell’Arizal, di darla di nuovo mentre si dice ve’ata moshel bakol).

L’usanza corrente è di dare tzedakà prima delle preghiere del mattino (shachrìt) e del pomeriggio (minchà). Molti non la danno prima delle preghiere della sera (arvìt) perché secondo il Talmud di Gerusalemme, e secondo l’opinione dell’Arizal, è meglio non dare tzedakà di notte poiché, durante le ore notturne, l’attributo della giustizia si manifesta con molta potenza e si teme che forze esterne ne traggano sostegno. Il Rebbe spiega che questo riferisce al cercare apposta un bossolo per mettervi soldi in tzedakà; se si viene avvicinati da una persona non abbiente, si è obbligati ad aiutarla in qualunque momento.

I nostri saggi hanno detto “grande è la tzedakà poiché essa porta la redenzione”, rispecchiando le parole del profeta Isaia: “Sion verrà redento tramite la giustizia ed i suoi penitenti tramite la rettitudine (tzedakà)” (Isaia 1:27).

Che sia presto ai nostri giorni!

Rav Yehuda Shurpin, Chabad.org