All’inizio della parashà di Bechukkotài D-o dice: “Se camminerete nei Miei statuti…vi darò pioggia a suo tempo, la terra darà il suo prodotto e l’albero del campo darà il suo frutto” (Levitico 26:3). Rashì sul posto spiega che “camminare nei Suoi statuti” significa affaticarsi sulla Torà. Oltre al fatto che si è ricompensati per sforzarsi sulla Torà, è da notare anche che è l’unico caso in cui viene ricompensato uno sforzo senza un risultato tangibile; nello studio della Torà, l’obiettivo da raggiungere è lo sforzo in sé.

Oltre Noi Stessi

Ci sono due ragioni allo studio della Torà. La prima consiste nell’imparare le norme dei suoi precetti; la seconda nell’essere infusi di saggezza Divina. Quando si persegue il primo obiettivo, bisogna studiare fino a che si comprende il concetto; se l’obiettivo è il secondo, bisogna studiare fino a che ci si affatica. Prima che fosse redatto il Talmùd, gli studenti ripetevano lo studio fino a che lo avevano completamente memorizzato, e l’uso comune era di ripetere ogni passaggio della norma cento volte. Gli studiosi più diligenti, però, si sforzavano di ripetere la materia centoun volte, e la centunesima ripetizione valeva ai loro occhi più delle prime cento assieme. Quando ci si abitua a un determinato standard, esso diventa la prassi; quando si va oltre, si fa qualcosa in più, e la parte extra di solito richiede uno sforzo sovrumano. Se si è abituati a correre per dieci chilometri e a un certo punto si decide di correre per undici chilometri, quel chilometro in più è più difficile di tutti i dieci precedenti, ma è proprio quello che ci spinge oltre i nostri limiti e rafforza la nostra forza di volontà. Così, nello studio della Torà, solo quando ci si spinge oltre il traguardo si può arrivare all’Onnipotente. È interessante notare che l’espressione che indica la creazione del mondo è yesh meain, che letteralmente significa “qualcosa dal nulla”, in cui “dal nulla” si riferisce chiaramente al nulla che esisteva prima della creazione. Ma in realtà prima non esisteva il nulla assoluto, esisteva D-o, ma definiamo quella condizione dell’universo “nulla” perché per essere infusi dalla Divinità dobbiamo prima oscurare la nostra percezione di noi stessi e prendere coscienza della nostra nullità. Per arrivare a questo, dobbiamo andare oltre noi stessi, riconoscere i nostri limiti e sforzarci di superarli. Il valore numerico della parola meain, “dal nulla”, è 101: esattamente il numero di volte che lo studioso deve ripetere la materia per affaticarsi sulla Torà.

Camminare Con La Torà

Abbiamo capito che “camminare nei Suoi statuti” significa affaticarsi sulla Torà, ma cosa ha a che fare il camminare con lo studio? Il profeta Zaccaria dichiara che se gli angeli sono capaci solo di stare in piedi, le anime degli uomini sono capaci di camminare (vedi Zaccaria 3:7). Gli angeli non possono andare oltre i propri limiti e non sono in grado di fare niente di più o di meno di quello che corrisponde a quella specifica capacità e missione per cui sono stati creati; sono statici. Gli uomini invece cominciano da un livello inferiore a quello degli angeli, ma con il loro cammino possono arrivare più in alto di loro. Quando studiamo Torà aspirando a raggiungere il trascendente, non solo ci affatichiamo in essa ma per così dire diventiamo la Torà. Ci svegliamo con pensieri di Torà e ci corichiamo con pensieri di Torà; ci sediamo a riposare e pensieri di Torà ci vengono alla mente. Il re David diceva che a prescindere dalla meta che si era stabilito, i suoi piedi lo portavano nella casa di studio. C’era un rabbino a cui la moglie aveva chiesto un giorno di portare fuori la spazzatura; dimenticandosi di cosa stesse facendo, si ritrovò all’entrata della sinagoga con il sacco della spazzatura in mano! Chi si affatica sulla Torà, letteralmente cammina negli statuti di D-o.

Di Lazer Gurkow, chabad.org