Il prigioniero che rifiutò di essere
intimidito
Nel libro Likkutè Dibburìm, il Rebbe Precedente, Rabbi Yosef Yitzchak Scheersohn di Lubavitch, descrive i dettagli del periodo della sua carcerazione da parte delle autorità Sovietiche nel 1927, per i suoi sforzi nel divulgare l’Ebraismo tra gli Ebrei locali. Questi ricordi sono importanti non solo come testimonianza storica ma anche perché rivelano la dinamica spirituale della sua prigionia e liberazione.
Fin dall’inizio della sua carcerazione, il Rebbe Precedente decise fermamente che non si sarebbe lasciato toccare dalle autorità che lo avevano imprigionato. Questo proposito ebbe implicazioni che andavano ben oltre il suo impegno di non fare compromessi nella sua osservanza della Torà. Per cui secondo il Rebbe Precedente, le autorità Sovietiche non avevano nessun potere. Secondo lui erano “il nulla assoluto”. Pertanto egli rifiutò di collaborare durante le interrogazioni e rispose sempre con fierezza ed integrità. Nonostante i disagi fisici ed i colpi che soffrì per loro mano, egli non fu intimidito nè permise ai Sovietici di distruggere il suo spirito.
Chi insegnerà a chi
Di Rosh Chodesh Tammùz, alcune guardie entrarono nella sua cella e gli ordinarono di alzarsi. Egli rifiutò. Le guardie spiegarono al Rebbe che avevano delle informazioni da comunicargli e secondo le regole della prigione doveva alzarsi per sentirle. Di nuovo, egli rifiutò di alzarsi. Minacciarono di picchiarlo e quando egli non obbedì, effettuarono la loro minaccia.
Questo scenario si ripetè per tre volte. Prima di somministrare le ultime botte una delle guardie esasperate disse al Rebbe, “Ti insegneremo una lezione!” Il Rebbe rispose: “La domanda è, chi insegnerà a chi...”
Avendo capito che i loro sforzi intimidatori erano inutili, le autorità Sovietiche lo invitarono in un ufficio dove gli comunicarono che la sua sentenza era l’esilio per tre anni a Kostroma. (Il Rebbe Precedente notò il suo fascicolo sulla scrivania, dove lesse che la sua sentenza era stata commutata, infatti egli era stato inizialmente condannato a morte; la seconda sentenza era per dodici anni ai lavori forzati e solo l’ultima condanna di tre anni d’esilio fu decisa).
Era Giovedi, il primo giorno di Rosh Chodesh Tammùz. Gli fu detto che avrebbe potuto passare qualche ora a casa e che sarebbe poi partito per Kostroma in treno. Egli chiese alle autorità del carcere per quando era previsto il suo arrivo a Kostroma e gli fu detto che sarebbe arrivato di Shabbat.
Al che il Rebbe rifiutò di andare. Uno degli ufficiali lo avvisò che se non avrebbe ubbidito ai loro ordini, non avrebbe più avuto la possibilità di lasciare la prigione. Egli rispose che era pronto a rimanere in carcere per tutto il tempo necessario e che non aveva intenzione di viaggiare di Shabbat.
Scioccati dall’audacia del Rebbe, le autorità si consultarono con alcuni ufficiali importanti del governo. Dopo qualche ora essi concordarono di trattenere il Rebbe in prigione per Shabbat e di permettergli di viaggiare di Domenica, il tre di Tammùz.
“Le nostre anime non sono mai state esiliate”
Il Rebbe Precedente inviò Rav Michoel Dvorkin a Kostroma per preparare il terreno per il suo arrivo. Lì il chassìd di fiducia riunì i bimbi Ebrei locali e stabilì un cheder, una scuola di Torà. Inoltre, egli controllò il mikvè e fece i necessari aggiornamenti per assicurasi che funzionasse secondo l’halachà. Paradossalmente, le stesse attività per le quali il Rebbe Precedente fu arrestato, si stavano svolgendo adesso con il consenso delle autorità Sovietiche.
Prima di andare a Kostroma, il Rebbe salutò i suoi chassidìm brevemente, incoraggiandoli a continuare i loro sforzi di spargere l’osservanza dell’Ebraismo:
“È importante che sia noto a tutte le nazioni della terra che i solo i nostri corpi sono stati mandati in esilio e soggiogati al dominio dei popoli. Ma le nostre anime non sono mai state esiliate né sono state soggiogate alle nazioni.
Va dichiarato pubblicamente che nessuno può esercitare nessuna influenza sulla nostra fede, sulla Torà, le sue mitzvòt e le tradizioni Ebraiche.”
Questo messaggio, amplificato dalla situazione nel quale fu impartito, ebbe un’impressione molto forte su i chassidìm. Poco dopo, nel 12 ed il 13 di Tammùz rispettivamente, il Rebbe Precedente fu informato del suo rilascio imminente e fu infine rilasciato dall’esilio. Come egli stesso disse più tardi, questi eventi mostrarono che il governo Sovietico aveva effettivamente dato il benestare ai suoi sforzi di diffondere l’osservanza della Torà.
Pertanto la prigionia di Rabbi Yosef Yitzchak produsse dei buoni risultati, stimolando ulteriori sforzi per il beneficio dell’Ebraismo. Gli effetti positivi di questi eventi continuano e migliorano di anno in anno, poiché la commemorazione del 12 di Tammùz incoraggia altri a continuare nei passi iniziati dal Rebbe Precedente.
La lezione della liberazione del Rebbe è attuale in ogni situazione. Infatti quando una persona decide che tutti gli ostacoli per trasmettere la Torà non hanno valore ed egli persiste nel suo impegno nonostante tutte le difficoltà, la verità della sua fermezza gli verrà rivelata. Egli capirà che “la Torà, le sue mitzvòt ed il popolo Ebraico sono eterni” e che tutte le forze che sembrano opporsi a lui sono sfide temporanee. Quando egli continua nei suoi sforzi di diffondere l’Ebraismo, tutti gli ostacoli spariranno. Inoltre, anche le forze avversarie stesse verranno trasformate in motori d’influenza che contribuiranno alla diffusione della Torà.
Una redenzione porta a un’altra
La liberazione del Rebbe Precedente nel 12 di Tammùz aprì la strada al suo arrivo negli Stati Uniti, un cambiamento che ebbe due risultati. Da un lato, la sua presenza negli USA gli permise di diffondere l’Ebraismo ed il Chassidismo senza le difficoltà che ebbe in Europa. Dall’altro canto, l’ambiente Americano offrì una sfida ai chassidìm, ovvero di mantenere la stessa dedizione intensa risvegliata da una minaccia alla propria esistenza quando la minaccia non esisteva più.
Anche il Rebbe precedente resistette a questa sfida, lanciando attività all’avanguardia che eventualmente fecero si che l’America si stabilì come fulcro importante di Torà per il nostro popolo. Con ottimismo e perservanza instancabile egli aprì nuovi orizzonti nei suoi sforzi di diffondere l’osservanza della Torà.
Perciò la sua liberazione nel 12 di Tammùz non era una questione personale poiché ebbe un effetto sul nostro popolo intero. Mentre gli effetti positivi di questa redenzione continuano ad espandere, possiamo vedere apertamente e non solo a livello spirituale, che la sua redenzione era una preparazione per la Redenzione finale che vivremo con l’arrivo del Mashiach. Che ciò avvenga nel futuro immediato.
Adattato da Likkutè Sichòt, Vol. IV, 12 Tammùz; Vol XXVIII 3 Tammùz
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