La lettura di Simchàt Torà si conclude dicendo “Moshè operò davanti a tutto Israèl”. Ràshi dice che il verso si riferisce alla rottura delle Tavole della legge e che D-o era d’accordo e si congratulò con lui”.

Siamo così costretti a dire che D-o si congratulò con Moshè, perché il suo atto era stato fatto per onorare non solo la Torà ma anche Israele. Comunque le parole di D-o a Moshè non furono di lode fino a Vezòt Haberachà, in prossimità alla sua morte, quaranta anni dopo. Questo suggerisce che la virtù di Moshè non era evidente fino alla fine della sua vita. La spiegazione è quella che ci dà il Talmùd. D-o permise a Israèl di essere tentati fino al punto di fare il vitello d’oro solo in considerazione del loro pentimento seguente, che era un pentimento unico nel suo genere, perché li avrebbe portati a un livello di spiritualità più alto di quello che avevano raggiunto prima del peccato. Così la rottura delle prime Tavole a causa del peccato del vitello d’oro preparava la via per le seconde Tavole, che erano più grandi delle prime (Shemòt Rabbà cap. 46), per il perenne ricordo della potenza del pentimento, non solo per cancellare i peccati del passato, ma per portare l’uomo a nuove altezze spirituali.

Questa anche era l’intenzione di Moshè nel rifiutare di dare la Torà a degli “apostati”. Lui non voleva semplicemente difendere l’onore della Torà, ma piuttosto risvegliare in Israèl il desiderio di ritornare a D-o. Lui era come un padre che allontana il figlio peccatore dalla sua casa, non per cacciarlo via, ma per creare in lui il desiderio del ritorno. Perciò Moshè ruppe le Tavole “davanti a tutto Israele” un gesto pubblico in modo che tutti potessero sentire la necessità di volgersi al bene. Questa lode non divenne esplicita fino alla fine della vita di Moshè, quando gli fu concessa una visione del “giorno finale”, e lui vide “ tutto quello che sarebbe successo ad Israele in futuro fino alla resurrezione dei morti”. Perché fu allora che lui vide il trionfo finale del pentimento, il compimento messianico di quello che era stato incominciato sul Sinày. Ecco allora la connessione tra Vezòt Haberachà e Sheminì Atzéret.

Logicamente, noi dovremmo celebrare Simchà Torà e festeggiare la Torà a Shavu’òt, quando i dieci Comandamenti vennero dati per la prima volta. Ma la nostra più grande gioia appartiene alle seconde Tavole, che furono date a Yom Kippùr. E Sheminì Atzéret è la fine del ciclo festivo che comincia con Yom Kippùr.

I Giusti E I Penitenti

La differenza tra le prime Tavole e le seconde è la stessa che c’è tra i giusti e i penitenti. Quando le prime Tavole vennero date, Israele era ancora giusto; ma al tempo delle seconde essi avevano peccato e si erano pentiti. I giusti sono individui la cui virtù consiste nel fatto che essi vivono secondo la Torà. Ma i penitenti raggiungono un’altezza spirituale anche maggiore. Questa altezza sta nel legame tra D-o e l’uomo, che sopravvive anche quando l’uomo trasgredisce alla legge di D-o. Così, al tempo delle prime Tavole, Israèl ricevette una rivelazione dalla Torà. Ma al tempo delle seconde, essi stessi diedero una rivelazione alla Torà. Essi erano andati al di là di essa, avevano raggiunto l’unione essenziale tra D-o e Israele.

Le feste non sono state istiruite come avvenimenti fine a sé stessi, giorni di luce e di gioia. Il nostro compito è trasportare quello che sentiamo in quei giorni in tutto l’anno.

Tratto da una sichà

del Rebbe di Lubavitch