L’Indonesia non è solo lo tsunami. Con 220 milioni di abitanti, questo arcipelago è il più grande paese musulmano del mondo. Esiste anche una minoranza cristiana e qualche famiglia ebraica.

È a Surabaya, la seconda città dell’Indonesia, che David Schurder, un uomo d’affari ebreo di Manchester, si è recato più volte. Malgrado tutti i suoi sforzi, riuscì a trovare la sinagoga solo grazie ad una delle sue amicizie, un cristiano che lo accompagnò. Il cancello in ferro era chiuso, e non c’era nessuna indicazione che accennasse ad una sinagoga, se non delle scritte in ebraico incise con delle lettere in oro.

Una donna sulla quarantina, Hanna, uscì allora da una porta laterale e chiese loro in inglese cosa stessero cercando. Non appena il signor Schurder rispose che desiderava pregare, si sbrigò ad aprire la porta. La parte riservata agli uomini contava circa 80 posti. Poi c’era il matroneo e un’altra piccola saletta. Tuttavia il posto non sembrava molto frequentato…

Hanna spiegò che, da qualche anno, la polizia si era raccomandata di non affiggere nulla per non attirare l’odio della popolazione locale, cosa che aveva contribuito a rendere ancora più deserto il luogo.

L’ultima preghiera era avvenuta più di vent’anni fa! Il Sefer Torà apparteneva a dei privati che lo avevano recuperato quando avevano lasciato il paese. Nell’arca santa, Schurder trovò una Meghillà di Ester e alcuni vecchi libri di preghiera.

Curiosamente, nella saletta c’erano due foto appese al muro: quella del Rebbe di Lubavitch e quella della sua sinagoga, 770 Eastern Parkway a New York. Risultò che due ragazzi della yeshivà erano stati inviati lì qualche anno prima dal Merkaz Shlichut ma non avendo trovato nessuno, si erano accontentati di appendere queste due foto.

I pochi ebrei di Surabaya erano tutti sposati con delle non-ebree e quindi i loro figli non erano ebrei. Hanna e sua madre erano le uniche ebree della città.

Hanna allora raccontò la storia di queste ottanta famiglie, per la maggior parte originarie dell’Irak: durante la prima guerra mondiale, il governo iracheno aveva voluto arruolare tutti gli uomini; gli ebrei avevano preferito fuggire in India, a Singapore, in Malesia e in Indonesia che al tempo era ancora una colonia olandese. Il nonno di Ester, nato a Surabaya, era partito fino in Palestina per trovare una moglie ebrea. Conobbe Rivka, una ragazza originaria dell’India, e dopo alcuni anni trascorsi nel neonato stato di Israele, la coppia tornò in Indonesia.

Hanna non partì così lontano per sposarsi: sposò un musulmano della sua città ed ebbe due figli: David di dodici anni e una figlia di quattordici.

Quando Schurder notò David, quest’ultimo esclamò: “Lei è venuto per il mio bar-mitzvà!” In realtà il ragazzo sapeva che presto avrebbe celebrato il suo bar-mitzvà ma non sapeva assolutamente di cosa si trattasse. Parlava un po’ l’inglese e Schurder lo incoraggiò ad imparare l’ebraico con sua nonna. David possedeva anche un video registratore e Schurder cominciò facendogli guardare una cassetta sul Rebbe: così David poteva vedere per la prima volta altri ebrei, una sinagoga piena, dei tefillin etc… Anche il padre di David, che non era ebreo, guardò incuriosito il video e notò: “Ma è il 770, ci sono stato!” risultò che era stato a lavorare a New York per conto di una società locale, il cui proprietario era ebreo. Quest’ultimo aveva fatto fare un giro turistico ai suoi operai e fra le altre cose mostrò loro anche la sinagoga del Rebbe. Fra l’altrom era l’ebreo che aveva fatto venire i due ragazzi Lubavitch qualche anno prima ed era sotto richiesta del padre di David che avevano lasciato le due foto all’interno della sinagoga…

Schurder si tenne in contatto con David per internet. Così, attraverso i siti Lubavitch, David imparò cosa sono i tefillìn e come s'indossano e una serie di altre cose. Schurder aveva già da tempo deciso di offrirgli i tefillìn, ma quando David gli chiese quanto costassero, non nascose la somma; pensò che, conoscendone il valore, David avrebbe saputo apprezzarli. Quando Schurder tornò in Indonesia, David aveva preparato una busta con dentro il denaro necessario per l’acquisto dei tefillìn ricavato dal padre, dal nonno e dagli amici! Schurder poi gli aveva preparato una videocassetta con tutte le istruzioni per metterli, la preghiera dello Shemà, le benedizioni etc…

Organizzarono il bar-mitzvà nella comunità ebraica più vicina, ossia a Bangkok, distante ben quattro ore di volo. Fu il vecchio datore di lavoro del padre di David che pagò i biglietti d’aereo per tutta la famiglia. Il venerdi precedente al suo bar-mitzvà, David subì una piccola operazione per completare la sua circoncisione che era stata effettuata in precedenza secondo la legge musulmana.

Il venerdì in cui David compiva tredici anni, mise i tefillìn nel bet chabad di Bangkok come se lo avesse fatto già decine di volte! Poi si affrettò a farli indossare a suo nonno, al datore di lavoro di suo padre e ai turisti presenti che non credevano ai loro occhi.

Quel venerdi sera circa ottanta persone (turisti, uomini d’affari…) erano stati invitati da Rav Kantor per il pasto di Shabbat. Seguendo la tradizione così particolare del luogo, ciascuno dei presenti pronunciò alcune parole. Il giovane bar-mitzvà recitò un piccolo discorso ed anche suo nonno fece un discorso. “Nei miei sogni, non avrei mai potuto immaginare che mio nipote un giorno avrebbe celebrato il suo bar-mitzvà, e per di più con una bellissima festa!” Poi Hanna, la madre di David, raccontò: “Da quando David aveva dodici anni, entravo ogni giorno nella sinagoga e chiedevo a D-o di aiutarmi a festeggiare il bar-mitzvà, non sapendo neanche di cosa si trattasse. Un giorno in cui ero ancora più preoccupata del solito, mi sono recata nell’altra sala, e lì, davanti alla foto del Rebbe, ho detto spontaneamente: “Rebbe, nessuno mi ascolta! D-o, almeno Lui, mi ascolta? Mi aiuti! Rebbe, per D-o nulla è impossibile, sicuramente potrà aiutare mio figlio a fare il suo bar-mitzvà, in Indonesia o altrove!”

“Sono uscita, rincuorata ma anche un po’ imbarazzata: forse non si faceva così…Ma non ho avuto il tempo di rimpiangere le mie parole poiché in quel preciso istante, ho incontrato il signor Schurder…!”

Non solo David continua a mettere i tefillìn ogni giorno, ma adesso frequenta la yeshivà di Manchester, nella quale studia assiduamente. E il venerdi pomeriggio passa da un negozio all’altro per aiutare gli altri ebrei ad indossare i tefillìn…