Nel 1992, un’elegante e spumeggiante signora ultraottantenne entrò nell’ufficio di rav Yaakov Biderman, il shaliàch del Rebbe di Lubavitch in Austria.
«Mi chiamo Margareta Chayos. Ero cantante d’opera e vi annuncio che sono stata io la prima inviata del Rebbe qui, molto prima di lei, checché lei creda!» Discendente dei rebbeim di Vishnitz, aveva abbandonato “l’antico modo di vita” per buttarsi con frenesia nella “vera vita” e si era stabilita a Vienna dove era diventata cantante lirica. Quando scoppiò la guerra, riuscì a scappare grazie all’aiuto di amici non israeliti e giunse negli Stati Uniti, dove sposò un discendente del celebre commentatore talmudico Maharatz di Chayos. Lì diede alla luce la figlia, la quale sposò un medico considerato un luminare della medicina. Fu in occasione di una serata di gala di beneficienza che questo medico poté beneficiare di un colloquio con il Rebbe al quale sua suocera ebbe l’onore di partecipare.
«Quando entrai dell’ufficio del Rebbe, non so perché, sentii che, per la prima volta dalla shoah, potevo piangere per tutti i membri della mia famiglia persi durante la guerra. Gli raccontai tutta la mia vita ed egli mi ascoltò con attenzione e intensità. Gli annunciai che intendevo tornare a Vienna. Mi domandò di compiere due missioni per lui: trasmettere i suoi più sentiti saluti al rabbino capo di Vienna, rav Akiva Eisenberg; la seconda missione consisteva nell’andare a trovare un professore ebreo dell’Università di Vienna, un certo Sig. Frankl. Anche a lui dovevo trasmettere i calorosi saluti del Rebbe nonché riferirgli, sempre a nome del Rebbe, che non doveva scoraggiarsi e che se fosse stato tenace con le sue opinioni avrebbe sormontato tutti gli ostacoli.
A Vienna non incontrai problemi a trovare rav Eisenberg ma all’università non si era visto il dr. Frankl da due settimane e nessuno voleva darmi il suo recapito. Dovetti arrangiarmi da sola e finii col trovarlo. Suonai e notai dietro la signora che aprì la porta numerosi crocifissi. Pensai di aver sbagliato indirizzo. Non poteva essere la casa della persona che il Rebbe di Lubavich desiderava che io spronassi a perseverare! Nonostante tutti i miei dubbi, domandai se il professore era presente. La donna mi rispose di sì e poco dopo il professore apparve. Sembrava prostrato, nervoso e mi sentii a disagio: «Ho per lei un messaggio di amicizia da parte del Rebbe Schneersohn da Brooklyn!”
“Chi è?” chiese con impazienza?
“Il rebbe mi ha chiesto di dirle di non disperarsi, di rimanere deciso nelle sue convinzioni e di proseguire i suoi lavori con determinazione. Se lei va avanti con fiducia in lei stesso e nelle sue idee, incontrerà il successo!”
Il suo volto cambiò completamente. «Non posso crederci! Questo Rebbe di Brooklyn ha saputo esattamente quando mandarla, signora, è un vero miracolo! Lei mi ha salvato!” Piangeva e non smetteva di ringraziarmi. Dopo la partenza di Margareta, rav Bidreman si interessò più da vicino al Dottore. Aveva ottantasette anni (decedette nel 1997) ed era diventato celebre. Rav Biderman racconta:
«Lo chiamai, mi presentai e gli domandai di ricevermi ed egli accettò. Mi accolse e mi disse: ‘Non mi ricordo più del nome della signora, ma non ho dimenticato la sua visita. Non la dimenticherò mai. La mia gratitudine nei confronti del Rebbe Schneersohn è eterna!’ Proclamò il professor Frankl. Egli raccontò che da studente eccelse nell’ambito della neurologia e della psichiatria e fece parte della cerchia ristretta di Sigmund Freud, il padre della psicanalisi. Già prima della guerra - e ancora di più durante i tre orribili anni trascorsi nei campi di concentramento – aveva sviluppato idee contrarie a quelle di Freud. Frankl sosteneva che l’uomo è in grado di elevarsi spiritualmente e di liberarsi delle sue contingenze fisiche e materiali e di essere capace di dare un senso alla sua vita. Aveva visto nei lager esseri privi di tutto ma capaci di dare il loro ultimo pezzo di pane ad altri prigionieri. Tutto può essere tolto all’uomo ma non la libertà di scegliere il bene. Purtroppo negli ambienti universitari del dopoguerra, le idee di Freud erano le uniche ammesse, mentre quelle di Frankl furono sdegnosamente ignorate, considerate come retrogradi e non scientifiche.
‘Rav Bidermann! Sono sopravvissuto alla deportazione, ma non ho potuto sopportare il disprezzo e le canzonaturedei miei colleghi. Non avevo più amici e neanche più studenti. Pensai alle dimissioni e anche a cose peggiori, quando questa donna entrò e mi trasmise il messaggio del Rebbe. Una luce di speranza e di ispirazione. Qualcuno a Brooklyn – un rebbe chassidico - aveva sentito parlare di me, apprezzava le mie teorie e conosceva il mio stato d’animo. Non ero più solo. E mi sono battuto. Poco dopo, mi venne proposta una cattedra all’università. Il mio libro è stato tradotto in inglese e sono diventato famoso. Quando Chabad si stabilì a Vienna sono diventato uno dei primi benefattori’. »
Rav Biderman ora capiva finalmente perché riceveva una assegno ogni vigilia di Kippur.
Il libro del Dottor Frankl ha segnato una svolta nel pensiero moderno e ha dato alla psicologia e allo “sviluppo personale” l’orientamento positivo che hanno oggi. Scrisse in seguito altri 32 libri tradotti in 30 lingue. Diventò conferenziere invitato da ben 209 università nei cinque continenti, ottenne 29 titoli di dottore honoris causa da università del mondo intero e ricevette 19 premi e medaglie per la sua opera “Man’s searching for Meaning”, “Scoprire un senso nella vita - con la logoterapia”, che fu venduto in più di dieci milioni di copie e fu definito dalla biblioteca del Congresso americano come “il libro dalla maggior influenza del XX secolo”.
Tutto ciò non sarebbe accaduto senza l’intervento, la visione, il genio e l’infinito amore per il prossimo del Rebbe di Lubavitch nel 2003. Il Dr. Shimon Cowen, un chassìd Lubavitch australiano, peraltro esperto dell’opera di Frankl, andò in visita alla vedova non ebrea di quest’ultimo. Parlarono per ore e poi lei gli portò un paio di Tefillìn e un Talìt. «Il mio defunto marito li metteva tutti i giorni. Quando gli veniva domandato se credeva in D-o, rispondeva con una piroetta, ma non ha mai passato un giorno senza i suoi Teffilìn!»
Il Rebbe ebbe un’influenza su Victor Frankl molto più forte di quanto si possa immaginare
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