Rosh Hashanà si avvicina. È l'inizio dell'anno. Faremo promesse, ci pentiremo del passato e prenderemo impegni per il futuro.
Ma qual'è il vero significato di Rosh Hashanà? In cosa è diverso da Yom Kippur? Perché celebriamo Simhat Torà in una certa maniera?
Rosh Hashanà è il periodo dell'anno quando invitiamo D-o ad essere il nostro Re. Non è il periodo quando Gli chiediamo di cancellare la nostra schedina penale o di perdonare i nostri peccati. È la nostra opportunità di riincoronarLo nostro Re per un altro anno.
Suoniamo lo Shofar, passiamo tante ore nella Sinagoga perché vogliamo che Egli diventi il nostro Re nel vero senso della parola; che regni completamente e sia padrone assoluto di tutto. Perché se Egli controlla solo 99.9% e non 100% non è affatto Re.
Una famosa storia nel Talmud illustra bene questo concetto. Proprio prima della distruzione del secondo Bet Hamikdash la santa città di Gerusalemme era assediata dal nemico. Nessuno poteva entrarvi. Ma Rabbi Yochanan ben Zakkai il capo spirituale degli ebrei - spinto dalla disperata speranza di salvare il suo popolo, riuscì ad uscire come “ morto “ trasportato in una bara dai suoi discepoli più fedeli.
Una volta fuori si diresse all'accampamento romano dove incontrò il grande condottiero Vespasiano, e lo salutò nella maniera che si usava salutare l'Imperatore. Vespasiano lo apostrofò: “Per due motivi meriti la pena capitale: primo per tradimento poiché mi tratti da Re quando non lo sono e secondo - ammesso che io sia Re - come mai non ti sei presentato a me prima d'ora?” Mentre parlavano, giunse un messaggero da Roma con la notizia che l'Imperatore era morto e Vespasiano era stato eletto suo successore.
A questo punto ci si pone una domanda. Se Vespasiano era talmente potente da assediare una città come Gerusalemme, perché non poteva essere trattato come un Re? E perché l'errore di Rabbi Yochanan era talmente madornale da meritargli la morte?
La risposta è semplice. Per quanto il generale avesse enorme potere tuttavia il manto dell'autorità-totale spettava soltanto al Re poiché la Maestà richiede il controllo assoluto.
Rosh Hashanà dichiariamo: Non abbiamo altro Re oltre a Te. Ma lo intendiamo seriamente? La nostra fede, la nostra fiducia, le nostre preghiere e devozione - i nostri impulsi spirituali sono Suoi. Pensiamo. ‘D-o vuole che siamo morali. Bene, saremo morali. Vuole che crediamo in Lui? Anche questo ci sta bene.’
Ma come la mettiamo con gli altri aspetti della nostra vità, quei dettagli che consideriamo appartengono soltanto a noi stessi?
Ci sono delle persone che osservano i precetti divini durante tutto l'anno. Eseguono i comandamenti che D-o chiede di eseguire e non trasgrediscono ciò che non devono. Questi, cosa cercano di correggere con le loro preghiere di Rosh Hashanà? Trascorrono molte ore in concentrazione e riflessione, esplorando la loro mente ed il loro cuore per accertarsi se hanno forse trattenuto qualcosa da D-o.
Rosh Hashanà dobbiamo nuovamente constatare: cos'è realmente mio? Bè, per esempio: i miei soldi. Li ho guadagnati con il duro lavoro. C'è anche quella persona che dice: ‘Certo, io osservo tutti i precetti, ma ho il diritto di avere i miei dubbi.’ Ehi! un attimo, in un Regno niente è tuo.
Come nella storia del povero contadino russo. Il Partito lo sta interrogando - vuole la sua fedeltà. Se possedesse cento cavalli e lo stato ne avesse bisogno, cosa farebbe?: ‘Certamente li cederei al Partito. E così via risponde correttamente a tutti i quesiti che seguono. Cederebbe cinquecento mucche, dodici capre ecc. per il bene del Partito.
Finalmente sta per concludersi la prova e gli chiedono se cederebbe sei polli. Timidamente ammette: “sei polli non sono così disposto a cedere”. E perché? Perché sei polli è ciò che realmente possiede.
Non è difficile concepire il fatto che la propria vita fisica, la propria salute non ci appartiene e non possiamo averla secondo il nostro desiderio. Ma i dettagli della vita, quelle innumerevoli decisioni che dobbiamo prendere quotidianamente, questi ci è difficile capire che appartengono a D-o.
Per esempio il nostro modo di parlare. Quante volte diciamo “Bé, stavo solo parlando”. Oppure i nostri pensieri “Dopotutto, ciò che penso è solo mio”. O le nostre azioni “Vuoi dirmi che portare una chiave di Shabbat ha veramente importanza?”
La risposta a tutte queste domande è sì. II nostro discorso, i nostri pensieri, le nostre azioni, gli abiti della nostra anima, devono essere coerenti coi precetti di D-o. Sparlare o parole volgari non sono permesse, alcuni pensieri non sono innocenti, non sono kosher e lo stesso dicasi per le nostre azioni tutto ciò che facciamo è importante.
Una volta compreso il messaggio di Rosh Hashanà e rinstaurato il nostro legame particolare con D-o, e capiamo che tutto Gli appartiene, siamo finalmente pronti per Yom Kippur. Ora che sappiamo che Egli è il nostro Re, come dobbiamo servirLo? Adesso che ci rendiamo conto di quanto Egli ha fatto per noi come pensiamo di averLo trattato durante l'anno passato?
Quanto più pensiamo al ruolo di D-o nella nostra vita, nel nostro mondo, come nostro Creatore, nostro Padre, nostro Re, tantopiù ci accorgiamo di non averLo trattato come dovuto.
E questo è lo scopo della Teshuvà di Yom Kippur. Teshuvà, o ritorno a D-o, significa non soltanto pentirsi del passato ma esige che miglioriamo il nostro rapporto con D-o.
Di Yom Kippur trascorriamo ben 25 ore al Tempio, pensando a cosa? I nostri peccati? No di certo. Non sarebbe il modo giusto di trascorrere il giorno più santo di tutto l'anno; e non ci renderebbe nemmeno delle persone migliori.
Utilizziamo il giorno più santo del calendario ebraico pensando a quanto D-o è stato buono con noi durante tutto l'anno, a quanto Egli è giusto. Vogliamo migliorare secondo il criterio di D-o, non secondo il nostro, perché non ce la sentiamo di ripagare la Sua infinita bontà con un peccato.
Lo stesso vale in qualsiasi rapporto. Un marito decide un bel giorno che non è stato il migliore compagno per sua moglie, si vergogna e decide di cambiare. Infatti compila una lista di dieci voci che lo renderanno un marito modello. Ma si dà al caso che alla moglie non interessi neanche una di queste dieci voci, eppure il marito dichiara soddisfatto: “adesso sono perfetto “. Se a lui non importa se lei è felice o meno, non può assolutamente essere un buon marito. Lo stesso è vero di noi Yom Kippur.
Diciamo che vogliamo fare la Tehuvà, ma vogliamo migliorare secondo il nostro criterio. Non è possibile riparare un rapporto in questo modo. L'unico modo è ricollegandosi.
Il Magghid di Dubna usava raccontare questo aneddoto per illustrare la gratitudine. C'è un marito molto brutto, ma sordo. La moglie è una malalingua ed inoltre cieca. I due vanno d'accordo meravigliosamente perché lui non può sentire ciò che lei dice e lei non può vedere quanto lui sia brutto. Ma un giorno apprendono che c'è un grande medico che li può guarire e corrono da lui. In men che non si dica vengono curati ma la loro vita coniugale diventa un inferno e non si possono più sopportare.
Tornano dal dottore e lo inveiscono: “Hai rovinato la nostra vita - non ci hai fatto nessun favore. Hai solo peggiorato la nostra situazione, quindi non abbiamo intenzione di pagarti!” .
“In questo caso” , risponde il dottore, “ ho l'operazione che fa al caso vostro. Posso invertire ciò che ho fatto; posso nuovamente ridare a lei la cecità ed a suo marito la sordità e l'operazione sarà eseguita gratis” .
“No, no preferiamo, di no” , risponde la coppia.
“Allora, in questo caso vi ho reso dopotutto un servizio. Ed ora pagate!”.
La morale della storia è fin troppo evidente. Ci sono delle persone che ammettono che D-o ha concesso loro la buona salute ma aggiungono ma guarda che problemi ho a scuola, o nel lavoro”. Altri dicono “Certo ho una buona mente, ma guarda il mio corpo - sono malato” . Nonostante ciò se a loro venisse data l'opportunità di “invertire l'operazione” la loro risposta eguaglierebbe quella della coppia nella storia. E se la vita è talmente preziosa, chi abbiamo ringraziato ultimamente? La nostra devozione verso D-o è stata in proporzione alla Sua devozione verso di noi?
Dopotutto mostrare la nostra gratitudine e riparare il nostro rapporto con D-o non dovrebbe essere difficile. Perché quando un ebreo accetta D-o come Re su di lui, non sta nominando un estraneo su di se. Quando un ebreo si ricollega a D-o non si sta imbarcando in un nuovo progetto, sta solo rinnovando un vecchio rapporto. Inoltre, non sta solo compiendo una Mitzvà ma sta anche curando efficacemente se stesso. Perché quando incoroniamo D-o Re su di noi e su tutto il mondo - diventiamo più normali, più sani e più sereni - perché il nostro rapporto con D-o è sano e sereno.
La Torà insegna che tramite la Teshuvà i nostri peccati vengono tramutati in virtù. Non solo il peccato viene annullato, ma rende più forte il nostro riattacamento a D-o. Siamo più sani di quanto lo fossimo stati prima perché il peccato ci sprona a migliorare nel futuro. Se prima eravamo negligenti ora la Mitzvà che non avevamo osservato acquista un valore speciale che salda il nostro rapproto con D-o. La memoria del nostro errore ci dà quindi un doppio incentivo, ovvero: sapere che osservando un precetto, si fa la cosa giusta e secondo, comprendere che il peccato del passato rafforza il nostro rapporto. Non è solo il peccato che è stato neutralizzato. Teshuvà non è un caso di “perdona e dimentica” ma Teshuva significa “perdona e cresci “ .
La Teshuvà è lo scopo di Yom Kippur ed una volta ottenutolo seguono immediatamente le festività di Succot e Simhat Torà. A Kippur approfondiamo e miglioriamo talmente il nostro impegno verso D-o che automaticamente siamo invasi da una sensazione di profonda gioia. Ed è la gioia il tema di Simhat Torà.
A Simhat Torà balliamo con i rotoli della Torà. Non la leggiamo non solo - non la scopriamo nemmeno. La teniamo e balliamo. Non cerchiamo forse l'ispirazione della Sua saggezza? Non siamo interessati ai Suoi insegnamenti?
No. Il punto di Simhat Torà non è di provare che siamo migliori discepoli. Tutto ciò che importa in questo momento è che il nostro rapporto è più unito, è migliore, è più sano. E questa constatazione ci fa ballare.
Quando padre e figlio si incontrano improvvisamente dopo tanti anni di lontananza si abbracciano e saltano e piangono dalla gioia. Quando si è stati lontani - ma non ci si è “allontanati “ , al momento della riunione si sente una grande eccitazione. In un rapporto veramente intimo uno è felice che il suo amato è lì - che è - E questa è la gioia di Simchat Torà.
Uno non deve aprire la Torà per esserne ispirato. Uno non deve neanche tenerla, gli basta sapere che c'è per renderlo felice. A Simchat Torà l'ebreo rivolge ogni suo pensiero soltanto alla Torà - dimentica di pensare a se stesso. Così come nel vero rapporto uno dimentica se stesso e pensa solo all'altro così l'ebreo dimentica se stesso durante Simhat Torà.
Lo studio della Hassidut ci insegna che quando attribuiamo l'importanza al rapporto più che alla manifestazione - è naturale dimenticare se stessi. Questo possiamo ottenerlo soltanto tramite i Giorni del Giudizio proclamando D-o a Rosh Hashanà Re di tutto il mondo - e ritornando a Lui a Kippur con la Teshuvà.
Solo allora raggiungiamo il culmine del nostro rapporto con D-o e la Sua Torà nella notte di Simchat Torà.
Lo stesso vale in qualsiasi rapporto. Un marito decide un bel giorno che non è stato il migliore compagno per sua moglie, si vergogna e decide di cambiare. Infatti compila una lista di dieci voci che lo renderanno un marito modello. Ma si dà al caso che alla moglie non interessi neanche una di queste dieci voci, eppure il marito dichiara soddisfatto: «adesso sono perfetto ». Se a lui non importa se lei è felice o meno, non può assolutamente essere un buon marito. Lo stesso è vero di noi Yom Kippur.
Diciamo che vogliamo fare la Tehuvà, ma vogliamo migliorare secondo il nostro criterio. Non è possibile riparare un rapporto in questo modo. L'unico modo è ricollegandosi.
Il Magghid di Dubna usava raccontare questo aneddoto per illustrare la gratitudine. C'è un marito molto brutto, ma sordo. La moglie è una malalingua ed inoltre cieca. I due vanno d'accordo meravigliosamente perché lui non può sentire ciò che lei dice e lei non può vedere quanto lui sia brutto. Ma un giorno apprendono che c'è un grande medico che li può guarire e corrono da lui. In men che non si dica vengono curati ma la loro vita coniugale diventa un inferno e non si possono più sopportare.
Tornano dal dottore e lo inveiscono: «Hai rovinato la nostra vita - non ci hai fatto nessun favore. Hai solo peggiorato la nostra situazione, quindi non abbiamo intenzione di pagarti!» .
«In questo caso» , risponde il dottore, « ho l'operazione che fa al caso vostro. Posso invertire ciò che ho fatto; posso nuovamente ridare a lei la cecità ed a suo marito la sordità e l'operazione sarà eseguita gratis» .
«No, no preferiamo, di no» , risponde la coppia.
«Allora, in questo caso vi ho reso dopotutto un servizio. Ed ora pagate!».
La morale della storia è fin troppo evidente. Ci sono delle persone che ammettono che D-o ha concesso loro la buona salute ma aggiungono ma guarda che problemi ho a scuola, o nel lavoro». Altri dicono «Certo ho una buona mente, ma guarda il mio corpo - sono malato» . Nonostante ciò se a loro venisse data l'opportunità di «invertire l'operazione» la loro risposta eguaglierebbe quella della coppia nella storia. E se la vita è talmente preziosa, chi abbiamo ringraziato ultimamente? La nostra devozione verso D-o è stata in proporzione alla Sua devozione verso di noi?
Dopotutto mostrare la nostra gratitudine e riparare il nostro rapporto con D-o non dovrebbe essere difficile. Perché quando un ebreo accetta D-o come Re su di lui, non sta nominando un estraneo su di se. Quando un ebreo si ricollega a D-o non si sta imbarcando in un nuovo progetto, sta solo rinnovando un vecchio rapporto. Inoltre, non sta solo compiendo una Mitzvà ma sta anche curando efficacemente se stesso. Perché quando incoroniamo D-o Re su di noi e su tutto il mondo - diventiamo più normali, più sani e più sereni - perché il nostro rapporto con D-o è sano e sereno.
La Torà insegna che tramite la Teshuvà i nostri peccati vengono tramutati in virtù. Non solo il peccato viene annullato, ma rende più forte il nostro riattacamento a D-o. Siamo più sani di quanto lo fossimo stati prima perché il peccato ci sprona a migliorare nel futuro. Se prima eravamo negligenti ora la Mitzvà che non avevamo osservato acquista un valore speciale che salda il nostro rapproto con D-o. La memoria del nostro errore ci dà quindi un doppio incentivo, ovvero: sapere che osservando un precetto, si fa la cosa giusta e secondo, comprendere che il peccato del passato rafforza il nostro rapporto. Non è solo il peccato che è stato neutralizzato. Teshuvà non è un caso di «perdona e dimentica» ma Teshuva significa «perdona e cresci » .
La Teshuvà è lo scopo di Yom Kippur ed una volta ottenutolo seguono immediatamente le festività di Succot e Simhat Torà. A Kippur approfondiamo e miglioriamo talmente il nostro impegno verso D-o che automaticamente siamo invasi da una sensazione di profonda gioia. Ed è la gioia il tema di Simhat Torà.
A Simhat Torà balliamo con i rotoli della Torà. Non la leggiamo non solo - non la scopriamo nemmeno. La teniamo e balliamo. Non cerchiamo forse l'ispirazione della Sua saggezza? Non siamo interessati ai Suoi insegnamenti?
No. Il punto di Simhat Torà non è di provare che siamo migliori discepoli. Tutto ciò che importa in questo momento è che il nostro rapporto è più unito, è migliore, è più sano. E questa constatazione ci fa ballare.
Quando padre e figlio si incontrano improvvisamente dopo tanti anni di lontananza si abbracciano e saltano e piangono dalla gioia. Quando si è stati lontani - ma non ci si è «allontanati » , al momento della riunione si sente una grande eccitazione. In un rapporto veramente intimo uno è felice che il suo amato è lì - che è - E questa è la gioia di Simchat Torà.
Uno non deve aprire la Torà per esserne ispirato. Uno non deve neanche tenerla, gli basta sapere che c'è per renderlo felice. A Simchat Torà l'ebreo rivolge ogni suo pensiero soltanto alla Torà - dimentica di pensare a se stesso. Così come nel vero rapporto uno dimentica se stesso e pensa solo all'altro così l'ebreo dimentica se stesso durante Simhat Torà.
Lo studio della Hassidut ci insegna che quando attribuiamo l'importanza al rapporto più che alla manifestazione - è naturale dimenticare se stessi. Questo possiamo ottenerlo soltanto tramite i Giorni del Giudizio proclamando D-o a Rosh Hashanà Re di tutto il mondo - e ritornando a Lui a Kippur con la Teshuvà.
Solo allora raggiungiamo il culmine del nostro rapporto con D-o e la Sua Torà nella notte di Simchat Torà.
Di Rav Manis Friedman
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