Elùl è il mese della teshuvà, l’ultimo dell’anno, in cui a ciascun ebreo è richiesto di operare un accurato esame di coscienza su tutte le azioni compiute e non compiute nel corso dell’anno, e quindi di correggerle e di migliorare tutto ciò che richiede di essere corretto e migliorato. Questa è anche, ovviamente, la giusta preparazione per il nuovo anno in arrivo.

I diversi ambiti dell’operato spirituale che caratterizza il mese di elùl si trovano in forma allusiva (remez) nelle iniziali da cui è composto il nome di questo mese. Esse si riscontrano infatti in diversi versetti della Torà, ciascuno dei quali indica un altro aspetto dell’operato spirituale.

Il primo di essi è la teshuvà. Se ne trova un’allusione nel versetto di Devarìm (30, 6):

ומל ה' אלוקיך

את

לבבך

ואת

לבב זרעך

(Umàl Hashèm elokecha et levavchà veet levàv zar-akhà)

E Hashèm il tuo D. circonciderà il tuo cuore e il cuore della tua discendenza.

La circoncisione del cuore, che rimuove il “prepuzio” (in senso metaforico), ossia ciò che nasconde e ostacola l’amore naturale fra l’ebreo e Hashèm, è la teshuvà.

Le Tre Colonne Portanti

Dopo aver rimosso la “crosta” che copre il cuore e aver aperto l’anima all’operato spirituale, è possibile entrare nei dettagli.

Questo sforzo acquisisce tre forme, che riflettono le “tre colonne portanti” sulle quali si erge il mondo: la Torà, la ‘avodà (ossia la preghiera) e le manifestazioni di bontà (ghemilùt chassadìm)1.

Allo studio della Torà come aspetto e fase dell’operato che caratterizza il mese di elùl, le Scritture alludono in questo termini:

אנה

לידו

ושמתי

לך

(inà leyadò vessamti lechà)

..gli sarà capitato [di commettere un omicidio involontario, e quindi] fonderò per te [delle città rifugio]2

Questo versetto si riferisce alle città-rifugio, in cui poteva trovare appunto rifugio colui che aveva commesso un omicidio non intenzionale, per sottrarsi alla vendetta dei parenti della vittima.

Anche la Torà funge da rifugio per la nostra anima. Come dicono i saggi3: le parole della Torà “accolgono”. La Torà, infatti, difende l’uomo dalle insidie dello yetzer harà, che lo aspetta sempre alla soglia...

Tefillà e Atti di Bontà

Quanto alla tefillà, menzionata sopra come un’altra delle colonne che sostengono il mondo, essa trova riscontro nel versetto4:

אני

לדודי

ודודי

לי

(Anì ledodì vedodì li)

Io appartengo al mio amato ed il mio amato è mio.

L’essenza della tefillà è il legame fra l’uomo e D-o, che nasce dall’amore per Lui. Questo legame è espresso in questo versetto, che pone l’enfasi sul forte rapporto fra l’io (l’uomo) e il mio amato (Hashèm).

La terza colonna è quella degli atti di bontà, della ghemilùt chassadìm, che trova riscontro nel versetto5:

איש

לרעהו

ומתנות

לאביונים

(ish lere’ehu umatanòt laevyonìm)

[doni di cibo] al prossimo e donazioni ai poveri

Nel mese di elùl l’uomo deve progredire nello studio della Torà, nella preghiera e negli atti di bontà, e correggere ciò che in questi tre ambiti lo richiede. Questo è, in sintesi, l’operato spirituale di questo periodo dell’anno.

Percepire la Gheulà

Tuttavia, affinché questi sforzi siano coronati dal successo, è necessaria la gheulà, la redenzione. Innanzitutto, bisogna liberarsi da qualunque cosa possa confondere e disturbare la mente. L’ebreo deve porsi in una posizione che gli consenta di sentirsi “libero” nel senso ebraico del termine, ossia libero di servire Hashèm senza che nulla possa ostacolarlo e disturbarlo in questi sforzi.

Da qui poi avviene la redenzione finale, di cui si trova riscontro in un ulteriore versetto, le cui iniziali compongono la parola elùl6:

אשירה

לה'

ויאמרו

לאמור

(ashìra laShem vayomrù lemòr7)

Canterò ad Hashèm, dissero.

Queste parole furono pronunciate nella Cantica del Mare, che, come spiegano i saggi, allude anche alla Cantica che il popolo ebraico intonerà quando verrà Mashìach. Il sentimento di libertà che l’ebreo prova negli ultimi giorni dell’esilio funge da preparazione, da porta, verso la redenzione finale, che avverrà presto ai nostri giorni, amèn!

(da un discorso del Rebbe di Lubavitch, Likkuté Sikhòt vol. 23, tradotto ed adattato dal libro Shulkhàn Shabbàt da Avigail Hadad Dadon)