Durante Kippùr nella preghiera pomeridiana di minchà si legge come haftarà il Libro di Yonà. Yonà era un profeta inviato da D-o nella città di Ninive ad esortare i suoi numerosi abitanti affinché modificassero il proprio stile di vita altrimenti la città sarebbe stata distrutta. Yonà rifiutò la missione e fuggì, trovandosi però in pericolo di vita decise di compiere la sua missione. Gli abitanti si pentirono in massa e la città fu salvata.

La vicenda è più complessa e ha profondi significati. Ci limiteremo in questa sede ad osservare che il tema della haftarà è la teshuvà (pentimento e ritorno a D-o), che caratterizza il giorno di Kippur. Quando si parla di pentimento si pensa al sentimento di rimorso e al proponimento di migliorare dopo aver trasgredito la volontà Divina o aver omesso una mitzvà.

La teshuvà però riguarda anche i grandi tzadikim, i giusti dalla condotta di vita integerrima, poiché la vita di ogni uomo èuna costante ascesa spirituale e un avvicinamento progressivo a D-o.

La teshuvà consiste nel passaggio da un livello a quello superiore. La teshuvà è un elemento fondamentale nella vita di ogni ebreo poiché rappresenta la capacità e il coraggio di cambiare. Nella Sua grande misericordia D-o ci ha concesso la teshuvà in modo che nessun ebreo sia da considerarsi irremediabilmente perduto. Nella vita di ogni ebreo infatti arriva prima o poi il momento in cui si accende la scintilla interiore che pareva spenta e la persona riscopre il desiderio di tornare alle proprie orgini.

“La teshuvà, la tefillà e la tzedakà allontanano il decreto negativo”: questo recita il libro di preghiere. La teshuvà è una porta sempre aperta, una strada del ritorno percorribile sempre, ma ancora di più nelle 25 ore di digiuno di Kippur. D-o accoglie la teshuvà in qualsiasi momento, ma ha destinato un particolare periodo all’anno e in particolare un giorno all’anno per salvare se stessi e il mondo intero.