La parashà di Acharèy-Mòt, che viene letta di Yom kippur presenta un paradosso: all’inizio tratta di Yom Kippùr, il giorno più solenne dell’anno, durante il quale il popolo ebraico “assomiglia agli angeli”. In questo giorno “essi si purificano innanzi a D-o”. In seguito, la fine della parashà avverte: «Non svelare la nudità di tuo padre, non svelare la nudità di tua madre… Non compiere nessuna di queste abominazioni». Queste non sono a dir vero colpe che potrebbero essere attribuite a creature che assomigliano ad angeli! Perché, dunque, i due argomenti vengono inclusi nella stessa parashà?

La risposta si trova nell’allusione evocata dal nome stesso di questo capitolo della Torà: “Acharèy” che significa “dopo” e nel suo primo versetto: «E D-o parlò a Mosè dopo la morte dei due figli di Aronne quando si avvicinarono a D-o e che morirono». Il giorno del Perdono ogni ebreo “si avvicina a D-o”. Tuttavia, questa esperienza non è fine a sé stessa. Occorre soprattutto concentrarsi su quanto accadrà dopo. Il modo col quale ci siamo avvicinati al Sig-re deve influire sui giorni e sulle settimane che seguono. Le più profonde aspirazioni della nostra anima e i momenti spirituali più elevati della nostra esperienza religiosa devono essere collegati alle realtà della nostra esistenza materiale.

La spiritualità non appartiene ad una dimensione aggiunta, separata dalla nostra quotidianità, anzi, essa è un mezzo di elevazione della quotidianità. Fondendo la realtà fisica e la realtà spirituale, permettiamo di raffinare il mondo, di imbeverlo di santità e di trasformarlo in Residenza per la Presenza Divina.

Ciò spiega la lettura dei brani inerenti alle relazioni vietate enunciate dalla parashà, nella quale, peraltro, vengono descritti i servizi dei sacrifici di Yom Kippùr. Infatti, questi divieti vengono letti durante gli uffici di Yom Kippùr. Viviamo tutti momenti come nel Giorno del Perdono nei quali il nostro cuore si rivolge all’Alto, nei quali ci sentiamo più uniti alla nostra anima e a D-o e nei quali prendiamo le distanze dalle nostre preoccupazioni materiali.

Ma anche in quei momenti i nostri occhi devono al contempo essere rivolti verso il basso. La forza spirituale di quelle ore particolarmente solenni deve essere usata per ricaricare il servizio divino quotidiano ed incitarci ad agire secondo i desideri di Hashèm, persino in contesti bassi dove potremmo essere tentati a seguire un altro cammino. Questo da la forza ad ogni ebreo per portare il risveglio del giorno Solenne anche nei giorni normali del resto dell’anno.

Likutè Sichot