Come per ogni cosa, la risposta dipende dalla persona a cui si pone la domanda.

Il Midràsh (Yalkut Shimoni sul Salmo 25) descrive una sorta di “tavola rotonda” nel corso della quale il quesito viene posto a quattro autorità diverse – la Saggezza, la Profezia, la Torà e D-o – e ciascuna di esse dà una definizione diversa di “peccato”.

Secondo la Saggezza, il peccato è un atto nocivo. Secondo la Profezia, è la morte. La Torà lo considera come una follia e D-o lo vede come un’opportunità.

Causa – Effetto

Il concetto filosofico di “sbaglio” è quello di una “cattiva idea”, come camminare a piedi nudi nella neve o mangiare troppi cibi grassi. Se facciamo delle cose “cattive”, non buone, ci succederà qualcosa di non buono.

Questo forse significa che Qualcuno ci sorveglia dall’alto, annotando scrupolosamente ogni nostro peccato ed elargendo le rispettive punizioni? Ebbene… sì! Ma non è così semplicistico come la rappresentazione di un D-o vendicativo che prende la Sua rivincita sulle misere creature terrestri che osano sfidare e trasgredire le Sue indicazioni.

Dunque, i geloni sono o no la punizione Divina per la passeggiata a piedi nudi nella neve? E i problemi cardiaci sono o no la vendetta Divina per aver consumato troppo colesterolo?

È così, se accettiamo l’idea che tutto ciò che ci succede accade perché lo vuole D-o. Il significato più profondo è che D-o ha stabilito specifiche “leggi della natura” che determinano il modo in cui Egli agisce nella nostra esistenza. Esistono in natura delle leggi fisiche, che gli scienziati misurano e teorizzano. Esistono ugualmente delle leggi spirituali, in base alle quali le azioni spiritualmente benefiche apportano dei benefici spirituali, e le azioni spiritualmente nefaste provocano un danno spirituale. Siccome la nostra esistenza fisica deriva da quella spirituale e ne è il riflesso, il comportamento morale e spirituale di una persona influisce anche sulla sua vita materiale.

Per questo il Re Salomone (la fonte dell’assioma della Saggezza nel Midràsh di cui sopra) afferma nel libro dei Proverbi (13:21): “Il male insegue l’iniquità”).

Allontanamento o Opportunità?

La Profezia – che rappresenta l’apogeo della ricerca dell’uomo della comunicazione con D-o) – si spinge più in là. Uno sbaglio non è solo un atto nefasto, è l’atto fatalmente nefasto. Essa definisce la vita come una connessione a D-o. Il peccato consiste nell’allontanamento da D-o ed è quindi una rottura del rapporto dell’uomo con la Divinità. Ecco perché in quest’ottica il peccato è la morte.

Anche la Torà asserisce che il peccato è un’azione nefasta e si traduce in un’interruzione del flusso di vita tra il Creatore e la creazione. In effetti, la Torà è la fonte della prospettiva della Saggezza e della Profezia, ma va oltre, stabilendo che l’anima dell’uomo non commetterà mai consapevolmente e di sua propria volontà una cosa così sciocca come peccare. Lo sbaglio, afferma la Torà, è un atto di follia. In un momento di insensatezza e di confusione l’anima commette un’azione contraria a quello che è il suo reale desiderio. Questo è il motivo per cui il peccato può essere superato, quando l’anima riconosce e identifica la follia delle sue trasgressioni e riafferma la sua volontà. Allora riaffiora anche la vera identità dell’anima, mostrando che il peccato è stato commesso solo dall’essere esteriore, maggiormente soggetto all’influenza delle passioni e delle emozioni, mentre l’essere più interiore e profondo non vi ha mai preso parte.

Cosa afferma D-o? Egli ha creato le leggi della natura, fisiche e spirituali, e ha creato la Saggezza, capace di individuarne i meccanismi e il funzionamento. L’Onnipotente è la sorgente della vita, ed è Lui a decretare che essa debba fluire nell’anima attraverso un canale ostruito dalle azioni dell’uomo. D-o ci dà la Torà con i suoi precetti per la salute dello spirito, la scoperta di sé e tutto ciò che trascende la materialità del mondo.

Così D-o è anche la fonte delle prime tre definizioni di “peccato”.

Ne esiste però anche una quarta, appannaggio esclusivo del Sign-re: il peccato è l’opportunità di “tornare”, attraverso la teshuvà.

Di Rav Yanki Tauber