Ed il S-gnore vide che la malvagità dell'uomo sulla terra superava ogni limite (Shemot 6.5)
«Nel fondo dello Sceol ho gridato e Tu hai udito la mia voce» Jonah 2.3
È Purim, tra poco sarà Pesach, eppure ci viene in mente la storia di Jonah, che è però storia di Kippur, forse perché come dicono i Maestri, ogni giorno deve essere giorno di teshuvà così come ogni giorno ci si deve sentire come usciti dall'Egitto. Jonah, perché la storia del pentimento degli abitanti della pessima città di Ninive ci riporta a quella della teshuvà di tutto il popolo ebreo condannato allo sterminio dal perfido Aman e dimostra quanta potenza effettiva di rimozione di un decreto possa avere un pentimento collettivo. Jonah infine perché il mondo, questo nostro miserabile mondo, demenziale magma di stupidità, di egoismo di sporcizia è, come doveva essere Ninive quando D-o lo mandò per richiamarla alla penitenza.
E Jonah parte incaricato direttamente da Lui, per convertire la città malvagia, ma è sempre uomo, anche se santo, anche se profeta, e quindi ha paura, è reticente, è terrorizzato perché suo è il dramma interiore, sua la tempesta spirituale che stravolge, così che il mare ribolle solo sotto di lui, eppure su di lui si appuntano i sospetti e le ire degli altri. Su di lui, sull'uomo di D-o, che come tutti i mistici si sente schiacciato e prevaricato dalla potenza della Divinità immanente. Ricordiamo l'analogo stato d'animo di Geremia: "Tu mi hai sedotto Sign-re e mi hai violentato». È un'immagine forte e terribile che si addice a una situazione spiritualmente ardua sia da capire che da accettare. L'amore di D-o diventa passione divorante che travolge, che non lascia spazio ad altri pensieri.
Anche il grande mistico sefardita Ibn-Pakuda nei “Doveri dei cuori” e lo stesso Rambam hanno paragonato l'amore per D-o a una passione che non dà tregua, a un pensiero che si insinua continuamente dietro agli altri pensieri, sempre ossessivo, costante, come quello di un grande amore contrastato. Ed a questo amore così intenso e così travolgente alludeva appunto Shlomo col verso: “Perché io sono ammalato d'amore” (Shir Hashirim 2.5). Maimonide 10-C Hilkot Hateshuvà.
Ed ecco che Jonah viene gettato in mare e inghiottito da una balena metafisica (e D-o preparò un pesce) fabbricata appositamente per lui, e resta per tre giorni nelle sue viscere. Può essere il ventre della balena una specie di mistico bacino amniotico che rigenera le forze dello stressato Profeta o è forse un terribile ribollire di acidi mefitici e roventi, un susseguirsi di strettoie da incubo nel terrore di essere risucchiato per sempre? La nostra vita è ora come quella di Jonah nel ventre della balena, un buio intrecciarsi di angoscia e di disgusto, quando sentiamo che D-o non è con noi e che siamo soli in questa sinistra e degradata caverna, lontani da Lui, abbandonati dal suo amore. « E D-o preparò un pesce». Nella tradizione anche iconografica seguente quel pesce è diventato balena, così che la balena diventa quasi un mostro creato forse dal subconscio dello stesso Jonah, ma come la diabolica Balena Bianca di Melville è incarnazione di forze titaniche malefiche e misteriose, il Pesce di Jonah diventa invece il « topos » metafisico del ritorno a D-o, come una capsula sospesa nel tempo e nello spazio dove il Profeta è chiamato a meditare sulla propria stessa Teshuvà. «Le tue onde e i tuoi flutti passarono sopra di me» piange Jonah. L'acqua è vista quindi non sotto l'aspetto di fluido rigeneratore e materno, ma piuttosto come incubico elemento di angoscia, e non è la prima volta perché anche in altri punti del Tanach l'acqua è spesso considerata terrifica.
Il ventre dunque del pesce o balena che sia, è paragonato agli Inferi, si tratta quindi di un'immagine di allegorico misticismo per raffigurare la notte spirituale dell'anima quando si sente allontanata da D-o.
L'acqua stessa diventa però mikwe quando Jonah viene risputato sulla spiaggia lavato dalla sua paura e dalla sua angoscia.
Ed ecco Jonah solo sulla spiaggia. La spiaggia che è sabbiosa come il deserto dopo l'uscita dall'Egitto, quella spiaggia che diventa il luogo di riflessione dove l'uomo religioso capisce che non si può fuggire da D-o che non si può dare ascolto al suo richiamo. Va a Ninive, e inaspettatamente la città accetta l'ordine Divino, si pente, veste il cilicio, fa Teshuvà.
D-o teneva quindi molto agli abitanti di Ninive, malvagì e peccatori eppure sensibili al richiamo del Profeta. E Jonah se ne dispiace, si rifugia nel suo angolino d'ombra (anche un Santo può avere un suo lato di borghese egoismo), non riesce a capacitarsi della facilità apparente di questo perdono. Anche Noah ebbe in fondo, lo stesso sussulto di egoismo: la sicurezza della sua Tevah opposta all'angoscia di un mondo tutto da riscostruire. E così gli Ebrei nel deserto. Perché affrontare i terrifici abitanti di un paese ignoto, quando ormai il deserto è diventato habitat se non di tutto riposo, almeno noto e senz'altro più sicuro di un territorio del tutto sconosciuto.
D-o tiene però all'uomo, anche e malvagio, anche se peccatore e lo dimostra anche nel Midrash che racconta come gli Angeli che si rallegravano per la fine degli Egiziani furono da Lui severamente redarguiti.
Egli non ama sopprimere le sue Creature ne tantomeno vuole che altri le sopprimano. D-o tiene alla sua meravigliosa Creazione come un artista alla sua opera, come un Padre alla sua famiglia. «Essi non mi piacquero» disse dei mondi creati prima del nostro (Tanya) ma vide che questo era buono era ben riuscito, egli ama quest'opera, che l'uomo coscientemente, giorno per giorno, distrugge andando inesorabilmente incontro alla propria autodistruzione, e questo potrebbe essere anche uno dei significati dell'avvertimento del Gan-Eden: chi non ascolta il divieto di D-o e mangia, cioè distrugge il frutto di un albero unico si procura da solo una vita durissima e la propria morte.
Ogni giorno vanno distrutte per sempre decine di specie di piante e di animali. Ognuna di esse è insostituibile. Perché insostituibile? D-o non può forse ricrearle? Certo, potrebbe, ma tiene proprio a quelle. A Noah non disse salvati tu e ti darò nuovi animali. Egli voleva che fossero messi salvo quelli, proprio quelli che aveva programmato nella sua creativa contrazione amorosa nei suoi tzimtzumìm quelli e non altri, perché D-o è per sua stessa definizione, un D-o geloso delle sue opere stupende, uomo incluso, contro il parere degli stessi Angeli, che come si sa, l'uomo non lo volevano, e che ne sono sempre stati gli avvocati accusatori.
Immaginiamo ora e ci si conceda questa piccola fiction un Jonah di oggi.
D~o incarica un suo inviato di salvare una delle nostre città, così che vediamo Jonah, dopo le normali paure e l'orrore dell'angosciosa reclusione, approdare su una spiaggia pronto ad affrontare Roma poniamo o Tokyo o New York. Infatti perché se il Sign-re voleva salvare gli abitanti di una città mitica come Ninive e non distruggerla poniamo come Sodoma o Gomorra non potrebbe mandare un Jonah per richiamare noi pure alla Teshuvà?
La prima risposta potrebbe essere questa. D-o non ha nessun bisogno di mandare i suoi Angeli a distruggerci perché ci stiamo già allegramente distruggendo da soli, e veramente se qualcuno si voltasse con cognizione di causa a contemplare questo sfacelo rischierebbe soltanto di trasformarsi come la moglie di Loth in statua di sale.
E la seconda risposta potrebbe essere che D-o manda dei Jonah, li ha già mandati, ne manda altri ogni giorno, ma che noi non sappiamo o non vogliamo vederli.
Se il re di Ninive immediatamente ascoltò il Profeta e subito ordinò la penitenza a uomini e animali, lasciateci dire che qui ormai si pentirebbero solo forse gli animali perché l'uomo si è ormai imbestialito lui stesso a un punto tale da non sentire più nessuna voce, se non quella del proprio egoismo. La penitenza collettiva di uomini e animali è comunque un concetto estremamente interessante. Come al tempo di Noah l'animale è accomunato nella punízione qui è coinvolto nella penitenza. Digiuna e indossa il cilicio come gli essere umani e con loro viene accolto anche nelcondono.
Questa spiaggia di oggi dove il povero Jonah venisse risputato dal pesce sarebbe sporca e ingombra di rifiuti, e le città, bella da lontano di luci e di suoni, lo stordirebbero da vicino coi loro maleodoranti miasmi. A questo punto il misero Profeta, semisoffocato, urtato da indifferenti e maleducati passanti, forse aggredito o scippato non troverebbe neppure più la forza fisica per proseguire, e chi inciterebbe allora alla penitenza? Nessuno avrebbe nè tempo nè voglia di ascoltarlo, e se un ipotetico Re lo ricevesse lo starebbe forse a sentire distrattamente per qualche minuto e si guarderebbe bene poi dal seguire i suoi consigli. Tornerebbe Jonah sconfortato alla sua balena e lascerebbe che D-o distruggesse come diceva Re Lear «fin la fabbrica del mondo».
Si è notato che per la prima volta nel Tanach un Profeta ebreo viene inviato da D-o a un popolo straniero.
Tranne che nel libro di Ezechiele dove il contenuto della coppa mistica deve essere distribuito a tutti gli angoli del mondo, gli altri Profeti hanno sempre mostrato minore considerazione per gli altri popoli, rappresentati in posizione di minore interesse rispetto al popolo di Israele.
Jonah invece è inviato a tutto il mondo, come antefatto e prolessi di un concetto messianico universalista. Tutto il mondo deve redimersi insieme a Israele che ne sarà guida spirituale, tornando alla destinazione orìgìnaria di popolo di Cohanim.
Di Donatella Valori z"l
Parliamone