I testi letti a Yom Kippùr evocano il servizio del Cohèn Gadol-Sommo Sacerdote nel Beth Hamikdàsh-Tempio e si aprono con queste parole : “E D-o parlò a Mosè dopo la morte dei due figli di Aronne quando si avvicinarono a D-o e morirono”. Qual è il nesso tra questo versetto con il nostro servizio personale in questa ricorrenza? Il tabernacolo era stato inaugrato con una Rivelazione divina alla quale assistette tutta la nazione. Il popolo
emise un sospiro di sollievo collettivo poiché quella Rivelazione dimostrava che il Sig-re aveva perdonato tutti per il peccato del Vitello d’Oro.
In quel momento storico i due figli di Aronne, Nadàv e Avìhu, due Giusti, furono colti da un’estasi divina che li spinse nel Kodesh Hakodashìm- Sancta Sanctorum con un’offerta di incensi. A quel punto, le loro anime pure furono sature di divinità e, di conseguenza, si effusero per essere assorbite dal sacro fuoco.
Una spiritualità concreta.
Cosa ci insegna questo episodio? Che le elevazioni spirituali sono esaltanti ma non fini a se stesse, non cosituiscono lo scopo per il quale siamo stati creati. La nostra missione in Terra consiste nel far permeare di divinità il nostro ambiente materiale mediante le mitzvòt, azioni che concretizzano le attività spirituali. Un’elevazione spirituale che non si materializza, seppur inebriante, rimane virtualmente inutile. L’obiettivo del giorno più solenne del calendario, nel quale siamo descritti come angeli tutti di bianco vestiti, è di apportare santità e di dare un senso alle attività quotidiane.
Come penetrare nel Santo dei Santi a Yom Kippùr? È interessante notare che, nella Torà, la Tefillà-preghiera è appena menzionata mentre un intero capitolo viene dedicato al procedimento della Avodà- Servizio nel Tempio che non è paragonabile a quello di nessun’altra festa a livello di lunghezza, di difficoltà e di dettagli. Il punto centrale faceva convergere gli elementi più sacri del tempo, dello spazio e dell’essere umano.
Il Cohèn Gadòl entrava nel Kodesh Hakodashìm e vi pregava per il benessere dei fratelli e per assicurare loro la grazia divina. Oggi, privi di Bet-Hamikdàsh, la Avodà è sostituita da lunghe preghiere con le quali tentiamo di ricostituire, in termini spirituali, il servizio nel Tempio serbando la sincera speranza di ottenere la stessa misericordia procurataci a suo tempo da quelle celebrazioni.
Un Tempio interiore.
Ogni ebreo è un Tempio potenziale per D-o e ogni individuo è il Cohèn Gadòl che officia nel proprio Tempio interiore. Lo scopo del Giorno del Perdono è di accedere al Santo dei Santi del Tempio personale. Il Kodesh Hakodashìm custodiva l’Arca d’Oro con le Tavole della Legge recanti i Dieci Comandamenti. Questi, essendovi incisi, erano parte integrante del minerale stesso delle Tavole. Durante l’anno ci connettiamo al Sig-re con
le nostre facoltà esterne: il cuore e la mente, strumenti versatili come le parole scritte a mano con inchiostro su pergamena del Sefer Torà, inclini a sbiadirsi e persino a cancellarsi.
Questa connessione esige un impegno costante. Ma a Yom Kippùr, la camera più interna dell’essere, il Kodesh Hakodashìm, la sua essenza, ovvero, la sua anima, si ricollega con Hashèm senza sforzi poiché si tratta di una relazione naturale, automatica, intrinseca e solida quanto le Tavole della Legge. È lo stesso rapporto esistente tra le lettere scolpite nella pietra e la pietra stessa, che formano insieme una singola entità. Questa relazione è ciò che siamo veramente: “una parte di D-o stesso”. In questo giorno unico ci viene data la possibilità di accedere a questo spazio che di norma è fuori dalla portata della nostra coscienza.
Contemporaneamente, riattizziamo il nostro legame rammentandoGli altresì che esso fa parte di ciò che è Lui. Egli non può dimenticarci come noi non possiamo dimenticare Lui. Così D-o concede il perdono e ci registra nel Sefer Hachayìm, il Libro della Vita e della prosperità. Durante l’anno, il Cohèn Gadòl indossava un abito cucito con fili d’oro e ornato da pietre preziose; per contro, a Yom Kippùr era vestito con un abito semplice e spoglio di umile lino bianco. Niente sfarzi. Ogni anno, non dobbiamo pensare che siamo sprovvisti di qualificazioni, di gesta straordinarie o di impressionanti conoscenze di Torà per essere degni di entrare nel Kodesh Hakodashìm. Non occorrono sfarzi. Non serve altro che purezza di cuore e d’animo e il desiderio di ricominciare tutto da capo in modo corretto, voltando una nuova pagina.
(Likutè Sichòt)
Parliamone