Il risentimento è un acido che danneggia il proprio contenitore
Il perdono è il concetto principale di Yom Kippur: il giorno più santo dell’anno, il Sign-re ci perdona per le nostre trasgressioni, ed è necessario che noi perdoniamo noi stessi e gli altri. Chiedendo a D-o di perdonare le nostre debolezze ricordiamo due metafore che hanno a che fare con la famiglia: “Amaci come un genitore è compassionevole con il proprio figlio” e “Amaci come un marito che si avvicina a sua moglie ricordando la sua infatuazione con la sposa della sua giovinezza” .
Dalla mia prospettiva di terapista famigliare trovo che il tesoro più grande della nostra Torà è proprio il precetto che ci comanda di liberarci di ira e risentimento, in particolar modo quando si tratta di rapporti con persone a noi vicine. Vi sono numerevoli fonti nei vari insegnamenti ebraici di ammonimento sul fatto che l’ira prolungata è proibita, distruttiva e perfino irrazionale. L’ingiunzione Biblica si trova nel libro di Levitico, 19:17-19; “Non odierai tuo fratello nel tuo cuore...non ti vendicherai e non serberai rancore”.
Il Talmud nota che “chiunque abbandona la vendetta merita che il Sign-re gli perdoni tutti i peccati”. E menziona il fatto che il Sign-re ama una persona “che non si arrabbia...e che non insiste ad essere nel giusto”. Maimonide dà un’importanza ulteriore esigendo che “si cancelli il torto dal suo cuore, interamente, senza ricordarlo per nulla”. Per parafrasare in termini psicologici moderni, “la sfida di rinunciare all’ira rappresenta un’ottima opportunità di crescita personale”.
Tutto ciò significa che bisogna essere vittime passive nel caso di abuso? Assolutamente no! Lo stesso verso Biblico sopra citato ci ingiunge anche di affrontare verbalmente chiunque ci abbia fatto un torto, per evitare di odiarlo nel proprio cuore. È necessario farlo direttamente e chiaramente, ma senza odio e senza distruggere il rapporto. Analogmente, abbiamo un obbligo di proteggerci e di non metterci in una posizione vulnerabile in cui il torto potrebbe essere eventualmente ripetuto. Allo stesso tempo bisogna farlo senza parlare in toni ostili, senza vendetta e senza ritirarsi in un silenzio freddo e critico.
Molti terapisti famigliari parlano di un tragico scenario che si ripete spesso in varie forme: un uomo mantiene una distanza irata da un parente per anni, sia esso un genitore, un figlio oppure un fratello. D’un tratto il parente muore e l’amore dell’uomo, a lungo nascosto dalla facciata dell’ira, fuoriesce ed egli è torturato dal rammarico e dal senso di colpa: “come ho potuto sprecare tutti questi anni quando avrei potuto…?”
La filosofia ebraica in generale e Yom Kippur in particolare ci proteggono da tali tragedie. In poche parole la Torà dice:
1. non credere di non avere la capacità di perdono… è tuo il compito di ottenere il perdono; 2. cerca di comprendere che l’ira e il risentimento trovano sostegno in pensieri irrazionali... se esamini la fonte della tua ira, potrai individuare ed identificare queste distorsioni cognitive; 3 esiste una forza negativa nel mondo che cerca di distruggere le sensazioni positive di vicinanza, e questa è la fonte dei pensieri irrazionali; 4 nei rapporti personali, l’ira nasconde il dolore, la paura e, ancora più importante, la necessità di amare e di essere amati.
Usa l'opportunità di Yom Kippur per estendere la tua mano con amore e perdono al tuo prossimo. Per merito della tua azione, che il Sign-re estenda la Sua mano, concedendoci il dono più grande, quello dell’avvento dell’era Messianica.
Dr. Yisroel Susskind è un psicoterapeuta a Monsey, NY. Per gentile concessione di Chabad.org
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