Una mattina piovosa mio figlio si è svegliato con questa ferma decisione nella sua mente: “Oggi non vado a scuola”. Ho utilizzato tutta la mia capacità di persuasione, ma è stato inutile. Per ciò che lo riguardava, la decisione era presa.

Siccome il tempo stava passando, l’ho semplicemente preso e caricato in macchina, mentre lui piangeva e si dimenava.

Mi disse: “Sei cattivo. Non mi vuoi bene. Io voglio restare a casa con la mia mamma”. La mia spiegazione logica, cioè che lo stavo portando a scuola proprio perché gli volevo bene, cadde inascoltata. “No, tu mi odi” urlò.

I miei figli maggiori che stavano in macchina, sorrisero al suo commento, poiché a loro era chiaro che stavo agendo assolutamente nell’interesse di mio figlio di appena cinque anni.

Cinque minuti più tardi una delle mie figlie maggiori mi chiese se poteva andare ad una certa festa, dopo scuola. Quando la mia risposta è stata una categorico “No”, sembrò ispirarsi al fratello di cinque anni, e con il suo sofisticato linguaggio da teenager, disse: “Tutti i miei amici ci vanno. Se mi vuoi bene, mi devi lasciar andare”. I figli sono esperti nel far sentire in colpa i genitori. Quando non ottengono ciò che vogliono, dicono le fatidiche parole, “Non mi vuoi bene”.

Come genitori diamo ai nostri figli il meglio affinché essi possano sentirsi amati., inoltre abbiamo paura che, se non diamo loro ciò che vogliono, l’amore che provano nei nostri confronti sia messo a rischio. Effettivamente ciò che i figli esprimono non è odio, ma rabbia per non aver ricevuto ciò che desiderano.

Proprio come è evidente che fermare un bambino di due anni che vuole attraversare la strada correndo è un gesto d’amore, allo stesso modo dovrebbe essere chiaro che quando diciamo a una figlia teenager di non andare ad una festa o rifiutiamo di scriverle una giustificazione per un ritardo a scuola dovuto alle sue stesse azioni, anche questo è un gesto d’amore. Forse lo si può etichettare come “amore un po’ più duro”, ma sempre amore è.

Il motivo per cui veniamo colti di sorpresa è che, nella nostra mente, non abbiamo ancora chiarito i motivi del nostro comportamento. Forse non abbiamo coscientemente soppesato la fatica a breve termine ed il vantaggio a lungo termine, in modo da potere essere certi di agire veramente nell’interesse di nostro figlio. Spesso dubitiamo se dare ai nostri figli ciò che vogliono o meno, quindi iniziamo a sentirci in colpa ed infine ci arrendiamo.

Re Salomone, il più saggio tra gli uomini, disse (Proverbi 13,24): “Colui che trattiene la sua frusta odia suo figlio, ma colui che lo ama lo disciplina presto”.

Per evitare quella sensazione di colpa e di dubbio, sarebbe opportuno dedicare del tempo per formulare la propria posizione al riguardo. Si può chiedere consiglio al proprio coniuge oppure a un professionista del campo. È bene assicurarsi che la decisione non sia presa con rabbia, con il desiderio di vendetta o di affermazione dell’autorità, bensì sinceramente per il bene dei figli.

Una volta che si è certi di agire spinti dall’amore, la nostra opinione, ferma e definitiva, verrà fuori. Un giorno i nostri figli impareranno a capire la differenza tra rabbia, malumore, disappunto da una parte e odio dall’altra e riconosceranno che abbiamo sempre agito ed agiamo spinti dall’amore.

Imparare ad identificare le differenze tra rabbia ed odio ci può aiutare anche nelle nostre relazioni come adulti. Il nostro partner potrebbe esprimere rabbia e frustrazione per qualcosa che potremmo aver fatto. Ma se siamo abili ad identificare le differenze tra rabbia ed odio, il nostro amore reciproco non ne risentirà.

Di Rav Yakov Lieder, con permesso di Chabad.org Tradotto da Daniel Raccah, pubblicato in Pensieri di Tora.