Aiuto e rispetto
Il precetto di praticare chessed (atti di bontà) è uno dei comandamenti più importanti.
Chessed ha un aspetto attivo e uno passivo. Il primo consiste nella disponibilità a essere d’aiuto, il secondo nell’evitare di danneggiare proprietà e sentimenti di altri. Il Talmud considera questo atteggiamento un aspetto centrale dell’ebraismo, il fondamento della società.
Queste qualità non vengono acquisite automaticamente e i genitori hanno la responsabilità di suscitarle nei figli. Come? Offrendo un esempio concreto, comportandosi in modo rispettoso, disponibile e pieno di considerazione nei confronti dell’altro; inoltre, devono creare opportunità perché i loro bambini esercitino queste virtù. Incoraggiando i bambini a rendersi utili nei lavori domestici, e insegnando loro a non disturbare o danneggiare gli altri, si possono proporre esperienze di incalcolabile valore.
Aiutare gli altri
Quando i genitori chiedono l’aiuto dei bambini, non devono sentirsi egoisti e pensare di appesantirli di responsabilità. Vero che il loro aiuto ci rende la vita più facile, ma è anche una preziosa opportunità per loro di onorare i genitori, una mitzvà fondamentale. Inoltre, l’essere d’aiuto in casa promuove nei bambini un senso di sicurezza e compimento.
I membri di una famiglia sono un unico gruppo in cui ognuno ha un ruolo. Il compito della madre è spesso troppo impegnativo perché lo affronti da sola, c’è bisogno dell’aiuto di tutta la famiglia. È fondamentale che i genitori insegnino ai figli a partecipare alla vita familiare e a condividerne le responsabilità.
I bambini piccoli di solito hanno un gran desiderio di aiutare in quanto li fa sentire più grandi ed importanti. Ovviamente sono lenti, impacciati e a volte il loro contributo può rivelarsi un ostacolo. Per loro il lavoro è come un gioco e non sentono nessuna urgenza. I genitori impazienti coi loro bambini però ne mortificano l’entusiasmo. Vi è chi dice: “Preferisco fare da sola, i bambini ci mettono troppo tempo”. Tale atteggiamento è scoraggiante. Inoltre, si incontreranno maggiori difficoltà nell’abituare i figli ad aiutare quando saranno più grandi.
Come chiedere collaborazione
Il modo in cui sollecitiamo l’aiuto del bambino è determinante per la sua adesione alle nostre richieste. Meglio evitare espressioni come: “Voglio che tu…”, poiché sottolineano i nostri desideri. È meglio assumere un atteggiamento amichevole ma deciso: “Per favore, porta giù la spazzatura”. Bisognerebbe evitare con cura richieste del tipo: “Ti dispiacerebbe aprirmi queste uova?”, perché sottintendono una mancanza di sicurezza, sia per quanto riguarda la disponibilità del bambino, sia rispetto al diritto dei genitori a chiedere. Quindi: “Vieni ad aiutarmi a lavare i piatti” è meglio di “Vuoi aiutarmi a lavare i piatti?”, perché se il bambino risponde “no”, siete in un vicolo cieco. Non è sempre necessario chiedere aiuto direttamente, si può dire: “Sara, tu puoi preparare la tavola per la cena”.
Non supplicate mai, e nemmeno dite che siete stanchi o affaticati, potreste sembrare ‘lamentosi’. Dite semplicemente: “Ho bisogno d’aiuto”. I genitori non devono giustificare la loro richiesta d’aiuto ma, anche se sono stanchi o di fretta, devono chiedere la collaborazione in modo calmo e persuasivo. Un brusco: “Vieni qui e pulisci la tavola!” potrebbe esprimere risentimento verso il bambino perché non aiuta abbastanza. Se il bambino se ne rende conto può offendersi e rifiutare di aiutare. D’altra parte, un modo di chiedere troppo esitante potrebbe rivelare il dubbio dei genitori che il bambino non voglia collaborare; spesso la conseguenza a tale atteggiamento è un rifiuto.
Essere riconoscenti
I genitori dovrebbero esprimere apprezzamento per la collaborazione ricevuta, dando così un esempio di riconoscenza. Evitare però manifestazioni eccessive, il bambino potrebbe sospettare che il suo aiuto non sia veramente atteso. Potrebbe inoltre abituarsi alle lodi e a cercare sempre l’approvazione dei genitori, ma anche di altre persone. Basta un semplice “grazie” per i lavori più semplici, e nemmeno quello per lavori di routine.
Bisogna fare attenzione a non collegare la gratitudine per la collaborazione del bambino con la sua personalità. Frasi del tipo: “Sei una brava bambina perché mi hai aiutato”, potrebbero spingere i piccoli a essere servizievoli solo per meritare le lodi. È bene usare espressioni oggettive, come: “Hai lavorato sodo e hai fatto un buon lavoro”, o “L’hai fatto con gioia, sentendoti bene nel fare questa mitzvà”; esse hanno il vantaggio di far percepire al bambino il suo valore intrinseco. Fate in modo che le lodi siano realistiche: i bambini si sentono a disagio se ricevono lodi non vere o immeritate.
Le nostre richieste
Alcuni genitori preferiscono chiedere aiuto quando c’è n’è bisogno, altri preferiscono stabilire in anticipo dei compiti regolari. A volte i bambini pensano di ricevere più compiti di quanto spetterebbe loro: “ Non è giusto! Perché me lo chiedi sempre?”. I genitori, invece di difendersi, dovrebbero comportarsi come se l’osservazione fosse vera. Un genitore saggio si limiterà a rispondere: “Forse pensi che io ti chieda sempre più che agli altri. Ne parleremo in seguito, ma adesso, per favore, fa quello che ti ho chiesto”. In seguito, i genitori discuteranno con il figlio il problema, evitando sia di accusarlo sia di difendersi: è sufficiente assicurarlo che cerchiamo sempre di essere giusti. Se tuttavia la protesta è giustificata, i genitori dovrebbero cercare di distribuire i compiti in modo più equo.
È inevitabile che ci sia la tendenza a richiedere più aiuto a quei bambini che mostrano più disponibilità a darlo. Ciò è pericoloso, potrebbe rafforzare il comportamento del bambino riluttante, oltre che creare risentimento in quello disponibile.
Quando il bambino non collabora
I bambini spesso si prestano di malavoglia ad aiutare. Alcuni genitori non si sentono di forzarli, ma più spesso si risentono di fronte alla riluttanza del figlio, schernendolo: “Perché fai quella faccia? Non vuoi aiutare, vero?”. O reagiscono con amarezza: “Non importa, lo farò da sola”. Così facendo, il bambino interiorizza il giudizio negativo e si convince di non aver mai voglia di aiutare. È come un’etichetta: “Non ho mai voglia di aiutare, sono cattivo”.
Molti genitori si rimproverano questo comportamento, ma dovrebbero ricordarsi che non si cambia facilmente. Anche smettendo di criticare il bambino e adottando metodi più efficaci, non è sicuro che il piccolo cambierà rapidamente. Se ciò non avviene, i genitori potrebbero ricadere nel vecchio atteggiamento di disapprovazione. Invece di dare troppo peso all’insofferenza del bambino, meglio fingere di non vederla. Se dice: “Sono troppo stanco” o “ Ho troppo compiti da fare”, possiamo dimostrargli comprensione, ma, amichevolmente, rispondergli: “So che sei stanco, ma sbuccia le patate in ogni caso”. Un piccolo buffetto amorevole sulla guancia può fare meraviglie. Persino quando si rifiuta di fare un lavoretto, dicendo: “Non voglio”, la nostra risposta dovrebbe essere la stessa. Dire: “Cosa significa che tu non vuoi? Ho detto così e così deve essere!”, deve essere evitato. Potremo poi spiegare al bambino, con tranquillità, che non può rifiutarsi. Un altro modo consiste nel dire: “Lo faccio io allora?”. Ma dolcemente, o potrebbe avere l’effetto opposto.
I genitori non devono mai dire al bambino riluttante frasi come: “D’accordo, però non venire più a chiedermi di fare delle cose per te”. Questi atteggiamenti vendicativi hanno un effetto distruttivo. Bisogna anche evitare di rimuginare sulla presunta ingratitudine del bambino, dicendosi: “Dopo tutto quello che faccio per lui, non fa nemmeno un piccolo sforzo”. Ciò causa solo risentimento: la riluttanza va considerata solo un segno di insufficiente disciplina interiore.
A volte i genitori offrono delle ricompense per convincere i figli. Le ricompense vanno usate per insegnare modelli di comportamento positivi, ma hanno degli aspetti negativi se utilizzati per ottenere collaborazione in casa, perché i bambini devono abituarsi a considerare il loro contributo una manifestazione spontanea. La ricompensa per qualche lavoretto, invece, può sviluppare un atteggiamento del tipo: “Cosa ottengo se lo faccio?”, fino a rifiutarsi di fare qualcosa senza ricompensa.
Se è negligente
Alcuni bambini, a volte, tendono a procrastinare il compito o a ‘dimenticarsene’, scoprirlo può causare parecchia irritazione. Tuttavia scaricare la rabbia sul bambino dicendo: “Perché devo controllare sempre se fai le cose?”, è molto controproducente. Si cerchi invece di considerare la tendenza del bambino a procrastinare i suoi compiti non come un segno di cattivo carattere, ma come brutta abitudine.
Gli si può spiegare, con tono controllato: “Sai che quando ti chiedo qualche cosa tu dovresti farla subito e non costringermi a ricordartelo? É la tua mitzvà. Se stai già facendo altro puoi chiedere di terminare, e io ti dirò solitamente di sì. Ma altrimenti i lavori vanno fatti subito”.
Quello del procrastinare è un atteggiamento tenace. I genitori devono avere pazienza e ricordare in tono calmo, e fermo se necessario, l’impegno preso. Se il bambino è costantemente negligente, occorre ricordargli di sovente che in famiglia tutti devono collaborare.
A volte il bambino fa un piccolo progresso, ma in modo goffo e incompleto. I genitori dovrebbero controllare e chiedergli di rifare quanto fatto in modo insufficiente. La tecnica migliore è attenersi a valutazioni oggettive, dicendogli chiaramente cosa ci si attende da lui.
Non ci si aspetti la perfezione; un’osservazione critica va fatta in termini costruttivi: “Penso che tu possa fare meglio di questo”. Al tempo stesso evitare di stare addosso al bambino e controllarlo continuamente. I bambini hanno bisogno di sentire che ci fidiamo di loro.
L’importanza della flessibilità
Sebbene sia meglio abituare i bambini a fare subito quanto richiesto, c’è sempre spazio per una maggiore flessibilità. Possiamo insegnare al bambino a chiedere il permesso di posporre un compito, ma se la nostra risposta è negativa dobbiamo farla rispettare.
A volte il bambino ha motivi legittimi nel trovare difficile la richiesta. Bisognerebbe insegnargli che in tali situazioni deve esprimere chiaramente le proprie difficoltà. Spesso i genitori si arrendono di fronte alle proteste di un bambino, e si lasciano prendere dal dubbio. Ma il più delle volte non c’è motivo di avere tali incertezze.
Di Rivka Hazan, direttrice della Scuola del Merkos a Milano, educatrice, mamma e nonna. Pubblicato nella Voce del Merkos.
Parliamone