Perché questo precetti che Io ti comando oggi non sono una cosa straordinaria oltre le tue forze, né sono una cosa lontana da te

Non è nel cielo, sì che tu possa dire: «Chi salirà per noi fino al cielo per prendercela e ce la farà ascoltare, sì che possiamo porla in atto?».

E neppure al di là del mare, sì che tu debba dire: «Chi passerà per noi al di là del mare per prendercela e ce la farà ascoltare, sì che possiamo porla in atto?».

Questa cosa ti è molto vicina, è nella tua bocca, è nel tuo cuore, perché tu possa eseguirla (Devarìm 30, 11-14).

C’è una controversia tra i Maestri nell’interpretazione delle parole: Non è nel cielo; cioè se da queste bisogna dedurre che la Torà è molto vicina a noi e non ci rimane altro che insegnarla de eseguirla in pratica o piuttosto, siccome essa non è più nel cielo, bensì dentro ognuno di noi, su di noi ricade la grande responsabilità dell’interpretazione della Legge.

Un noto midràsh (Baba Metzia 59a) riferisce una grande controversia: da un lato rabbi Eli’ezer che sostiene di aver ragione e dimostra la sua tesi con fatti soprannaturali, dall’altro i Maestri che, non convinti dalle argomentazioni del collega, non accettano neppure delle prove miracolose.

È chiara l’idea dei Maestri: chi vuole aver ragione lo mostri con argomentazioni logiche e solo allora gli si potrà dare ragione.

Rabbi Eli’ezer, però, insiste e chiama in causa D-o stesso che gli dà ragione. I Maestri, tuttavia, con un insegnamento valido anche per i posteri, ripropongono l’idea basilare della Torà: “La Legge non è nei cieli, bensì nella tua bocca e nel tuo cuore, affinché tu la esegua”.

Quindi si può contraddire D-o stesso, se questa è l’opinione della maggioranza, come è appunto scritto nella Torà: segui l’opinione della maggioranza.

I Maestri propongono una lettura in chiave democratica della Torà: fatto che comporta maggiori responsabilità, ma senza il quale non c’è vera libertà.

Si dimostra, quindi, con questo midràsh che la Torà non è un’eredità di singoli stregoni, maghi o comunque interpreti, bensì appartiene a noi che la studiamo, che la insegniamo, che la applichiamo.

È scritto nei Pirqé Avòt: “Disponiti a studiare la Torà, poiché essa non passa in eredità”; e ancora: “A chi appartiene la Torà? A chi più la studia.”