Le regole alimentari prescritte dallaTorà costituiscono un aspetto fondamentale della pratica religiosa ebraica. Di solito gli ebrei che osservano queste regole non si pongono molte domande sul loro significato. La posizione più comune di chi le osserva è che le regole fanno parte di una tradizione sacra, che ha origine in un comando divino, e che il dovere di un ebreo sia essenzialmente quello di rispettare questa volontà. Questo non vuol dire tuttavia che manchino domande e risposte su questo problema. Anzi: la letteratura sul "significato dei precetti", e di questi precetti in particolare, è ben vasta. Solo che l'importanza che la tradizione attribuisce a questi ragionamenti è secondaria; è molto più importante osservare, o ragionare sul modo corretto di osservare, che tentare di comprendere i motivi dell'osservanza; qualche volta ciò può essere utile, ma non sempre, anzi in qualche caso può essere rischioso.

Le interpretazioni delle regole alimentari forniscono molti esempi di questo rischio. Le spiegazioni proposte per le regole alimentari sono numerosissime, ma alcuni tipi di soluzioni godono di maggiore popolarità rispetto ad altre. La spiegazione igienico-salutare è forse la più nota, e può riassumersi in questo concetto: alcuni alimenti sono proibiti dalla Torà perché sono nocivi alla salute.

Questo argomento non è così semplice come appare a prima vista, perché ha una storia complicata, e si presta a usi e conclusioni opposte. Proviamo vedere come.

Sono molti tra gli ebrei tradizionalisti a considerare con diffidenza la spiegazione igienica, proprio per l'uso piutosto rozzo che ne è stato fatto, soprattutto a partire dal secolo scorso, per minare alla base l'osservanza di queste norme. Dire che gli alimenti proibiti sono tali in quanto nocivi può essere il segno di una valutazione molto positiva della legge. In realtà non è affatto così per diversi motivi.

Primo: come fa la Torà a sapere che certi alimenti sono nocivi? A questa domanda sono possibili due risposte differenti. La prima, in termini di profonda religiosità, che riconosce nell'Autore dei testo un livello superiore di conoscenza della natura, possibile solo a chi è dotato di sacra ispirazione. La seconda risposta è invece in termini puramente umani ed empirici: gli antichi autori hanno trasferito nel testo biblico le nozioni che avevano appreso in base all'esperienza: chi mangia certi animali acquatici si ammala più degli altri, e così via. Nessuna ispirazione, ma solo un buon uso della capacità di osservazione e interpretazione.

Secondo: se il motivo della proibizione è igienico, è possibile oggi ottenere lo stesso scopo di difesa della salute con mezzi più efficaci, senza toglierci dei piaceri alimentari. È stato questo uno degli argomenti più diffusi nella critica all'osservanza tradizionale. Se il maiale è proibito come forma rudimentale di profilassi per proteggerci dalla trichinosi, sarà sufficiente oggi un'adeguata prevenzione, il controllo delle carni e la loro cottura. Se i mitili sono proibiti in quanto portatori di colera, epatiti o altre malattie infettive, basterà cucinarli a lungo per uccidere i germi patogeni. Le risposte possibili a questo ragionamento sono numerose. Tra queste ne possiamo citare almeno due: l. Non è affatto detto che la motivazione igienica sia presente in assoluto in queste norme, o se è presente, che sia l'unica. 2. La spiegazione igienica può andare bene per alcuni animali proibiti, ma per altri no. Inoltre molti animali permessi possono essere nocivi più di animali proibiti.

Terzo: Anche se si attribuisce un ruolo positivo alla regola, si rischia di ridurre il ruolo della Torà. Si trasforma la Torà in un semplice testo di medicina,in qualche modo la si dissacra. Si noti bene che in tutte queste leggi la Torà non parla mai di protezione della persona: fate così, e starete bene. Se delle motivazioni sono talora addotte dalla Torà stessa per le sue regole, queste sono di segno diverso, nell'ambito della sanità e della purità.

Sembrerebbe quindi che la spiegazione igienica sia una diabolica invenzione di critici antitradizionalisti dell'ottocento, e che la necessità di difendere la tradizione abbia prodotto solo di recente gli argomenti a difesa. La storia è in realtà molto antica; sul versante della spiegazione igienica possiamo vedere schierati dei pilastri della tradizione ortodossa, e trovarne altri illustri sul fronte opposto, con tutte le tesi di critica già esposte da secoli.

Nelle fonti più antiche si trovano affermazioni come queste: "Sono stati proibiti i cibi cattivi, affinchè l'istinto non ti seduca a dire erroneamente che il S-gnore ha proibito cose buone" (Yalqùt Shim'onì 536). "Dieci misure di malattie sono scese nel mondo, e nove se le sono prese i maiali (Kiddushìn 49b). Rambam (Maimonide, 1135-1204) espone con decisione questa tesi: "Tutti i cibi proibiti sono alimenti di qualità inferiore; il maiale è umido in modo eccessivo, le parti di scarto vi abbondano, è estremamente sporco, perché si nutre di cose sporche; se allevassimo maiali le strade diventerebbero sporche" (Moré Nevukhim 3:48). Ramban (Nachmanide, 1194-1270) è più preciso sui rischi possibili, parlando di ciò che oggi potrebbe essere chiamato danno genetico: degli animali proibiti si trovano generazioni malformate, ed è possibile che possano far danni agli organi riproduttivi di chi li mangia". E ancora: "Se un lattante beve latte di maiale diventa lebbroso", al contrario "gli animali permessi hanno noti vantaggi, come i medici riconoscono" (commento a Lev. 11:3). "I cibi proibiti rovinano e riscaldano il corpo, come confermano anche medici illustri'. dice Rashbam. il nipote di Rashì (commento a Lev. 11).

Parimenti è antica la critica a questi posizioni. La riassumono molto efficacemente alcuni autori dell'epoca della cacciata dalla Spagna, come Abrabanel. Pur ammettendo che la qualità dei cibi permessi sia ottimale, perchè gli animali si nutrono di vegetali, Abrabanel (Lev. 11) scrive che i cibi "non sono stati proibiti per la salute dei corpo perchè se fosse così la Torà si ridurrebbe al livello di un libretto di medicina; i possibili danni derivanti dai cibi proibiti possono essere corretti con opportuni condimenti e miscugli; e d'altra parte vediamo che i popoli che mangiano carne di maiale vivono sani". E ancora: "Esistono altre specie dannose, che la Torà non ha proibito, ed esistono erbe e piante parimenti pericolose per la salute". Altri autori seguono la stessa linea critica, fino a questo secolo: Shaddal, Hirsch, Hoffman. Per molti commentatori (tra cui: Kelì Yaqar, Bechayye, Sforno a Lev. 11) non è la salute dei corpo l'obbiettivo della Torà, ma la salute dell'anima, la nefesh, o la neshamàh. In altri termini la salute riguarda non il corpo fisico, ma l'elemento vitale e spirituale dell'uomo, per il particolare destino a cui sono chiamati, in questo mondo o nel mondo futuro, gli spiriti dei figli di Israele; i cibi proibiti rappresentano un rischio per questo spirito, lo rendono torbido e ottuso. In questa prospettiva è evidente che solo l'Autore ispirato della Torà può conoscere e indicare ciò che è nocivo per lo spirito.

Le obiezioni su cui si fonda questa critica non sono però considerate inattaccabili. L'osservazione della buona salute e della forza dei popoli che mangiano cibi proibiti non è un argumento decisivo: bisognerebbe dimostrarla in termini statistici, come dicono alcuni contemporanei; o rapportare i cibi alla natura di ogni popolo, che non è detto debba reagire ad un agente esterno allo stesso modo. In una prospettiva un pò diversa, proposta dallo Zohar (Pinchas 3:221 b), Israele è, proprio per la sua particolare vocazione spirituale, più debole fisicamente degli altri popoli, e deve essere nutrito solo con cibi particolari.

Tra le due posizioni (salute del corpo e salute dell'anima), apparentemente inconciliabili, sono state proposte soluzioni intermedie e di compromesso. Un'idea diffusa nel medioevo, e che tra l'altro è sostenuta con convinzione e abbondanza di esempi nel medioevo, e che tra l'altro è sostenuta con convinzione e abbondanza di esempi dal cabalista italiano Menachem Recanati (inizio dei 140 secolo; commento alla Torà, ibid., e Ta'amè haMitzvòth, 'Asè f. 19), è che i cibi permessi tutelano la salute dei corpo, ma a beneficio di quella dell'anima. "La completezza dell'anima dipende un pò da quella dei corpo; come il buon artigiano non può lavorare senza i suoi strumenti, così l'anima non può agire senza il corpo. La cosa si può spiegare con degli esempi: il lume in una lampada raffinata brilla meglio dei lume immerso in una lampada torbida; così come due alberi piantati in luoghi diversi fanno frutti diversi secondo gli umori e l'assorbimento dal terreno". In termini simili parla anche il Sefer haChinukh (Spagna, 130 sec., § 79 e 159), che aggiunge un ulteriore argomento critico in difesa della tesi "igienica": "c'è un danno al corpo provocato dagli alimenti proibiti che non è noto nè a noi nè ai dottori della medicina; e non teme meravigliare, perché il Medico degno di fede che ce li ha proibiti è più sapiente di te e di loro, e proprio per nostro vantaggio non ne è stata rivelata la causa, per impedire che vengano delle persone che si presumono sapienti a dire che un certo danno di cui parla la Torà non esiste".

Concetti analoghi, ma in termini più filosofici, sono espressi da ltzchaq b. Arama (1420-1494): "Lo scopo è di abituare a cibi raffinati e puliti, per correggere la natura e purificare il temperamento (mezeg), e condurre alla pulizia della coscienza e bontà della costituzione; come il godimento e l'equilibrio nervoso derivano dal temperamento, così il temperamento e la natura stessa derivano dagli inizi dell'uomo e da ciò su cui cresce e dal quale si nutre. Il Sgnore volle pertanto distaccare il popolo prescelto dagli usi comuni agli altri popoli, perché come essi si distinguono per il loro cibo così si distinguono nelle loro opinioni e nelle loro azioni" ('Akedath Izchaq, ibid.).

In linea con questa tradizione, ma in termini più attuali, un autore dei nostri giorni (Chayyim Yosef haLevì, rabbino capo di Tel Aviv, in Meqòr Chayyim voi. 5 pag. 192) riassume così queste tesi di compromesso: "Anche se l'intento principale della Torà era la salute dell'anima, nella misura in cui si può chiarire che c'è anche salute dei corpo, diremo che entrambe le cose erano nell'intenzione della Torà, o che una dipende dall'altra, e che l'anima non può essere sana se non in un corpo sano". Si noti, tra l'altro, come queste fonti abbiano utilizzato e trasformato in modo particolare l'antico e famoso detto che in latino suona "mens sana in corpore sano". L'impressione che si ricava da tutti dati è che, malgrado tutte le obiezioni possibili, la tesi "igienica" nelle sue componenti positive di difesa della tradizione, abbia ancora ai nostri giorni un suo valore e un certo margine di attendibilità.















di Rav Dott. Riccardo Shmuel Di Segni