Al termine dei lavori di edificazione del Mishkàn, la Torà afferma: Moshè vide tutta l’opera [...] e Moshè li benedisse. Rashì commenta: «Disse loro: “Sia volontà [di Hashèm] che la Presenza Divina si posi sulle vostre opere e che XXX».

Da questi versetti emerge alquanto chiaramente che la benedizione di Moshè era rivolta essenzialmente a coloro che avevano eseguito i lavori di costruzione del Mishkàn, agli architetti, agli ingegneri e agli esecutori, e non a tutti coloro – uomini e donne dell’intero popolo – che vi avevano inizialmente contribuito con offerte e donazioni.

Di fatto, è superfluo precisare il fatto che Moshè avesse benedetto tutti coloro che avevano contribuito all’opera del Mishkàn, perché è ovvio e naturale che ci si complimenti e si benedica ciascun contribuente. Non è quindi a questa benedizione, pronunciata al termine della fase delle offerte, che si riferiscono i versetti di parshàt Pekudé riportati sopra. La Torà qui si riferisce infatti a una benedizione particolare che Moshè elargì al termine dell’esecuzione dei lavori.

Degno di nota fu il fatto che una volta costruite e fabbricate tutte le componenti del Mishkàn, gli esperti non furono in grado di edificarlo. Come afferma la Torà (39, 33): portarono a Moshè il Tabernacolo, su cui Rashì commenta: «Non erano in grado di edificarlo [...]. Moshè disse al Santo benedetto: “Come può un essere umano edificarlo?”. [Il Santo Benedetto] gli disse: “Occupatene tu con le tue mani facendo come se lo stessi edificando ed esso di erigerà e si innalzerà da sé”».

Una Benedizione Particolare

Da queste parole emerge quindi che anche in seguito ai contributi del popolo e all’esecuzione dei lavori da parte dei saggi e degli esperti, nessuno fu in grado di edificare concretamente il Mishkàn. A questo scopo, essi dovettero portarlo a Moshè che, con la forza di Hashèm, lo eresse.

Dopo tutto ciò sussite la necessità di un’ulteriore particolare benedizione: «Sia volontà [di Hashèm] che la Presenza Divina si posi sulle vostre opere». L’uomo, vincolato dai suoi limiti naturali, è infatti privo della facoltà di far sì che la Presenza Divina si posi sulle sue opere. A questo scopo egli necessita di una benedizione speciale da parte di Moshè.

Il Legame con lo Tzaddìk della Generazione

Se ne trae un importante messaggio valido per tutti. Lo scopo dell’operato in questo mondo è di creare una dimora, un Mishkàn, per Hashèm. Ciascun ebreo, con le sue azioni e le sue opere, “costruisce un Tabernacolo”, spinto dal desiderio che in esso risieda la Presenza Divina.

Tuttavia, questa parashà ci insegna che la conclusione di un’opera non è sufficiente per farvi posare la Presenza Divina. Essa avviene tramite la benedizione del Moshè di ogni generazione, ossia grazie al legame di ciascuno di noi con il capo di Israèl.

Quando si lega a “Moshè”, l’ebreo di ogni epoca acquisisce la facoltà di ottenere successo nelle sue opere e di farvi posare la Presenza Divina.

(Likkuté Sikhòt vol. XI)