Le accuse di corruzione personale furono e sono spesso sollevate contro chi detiene il potere, che fossero e siano giustificate o meno. Potremmo pensare che siccome D-o vede tutto quello che facciamo, questo dovrebbe essere un deterrente sufficiente a salvaguardarci, ma l’ebraismo ci insegna che non è così. Come riportato dal Talmùd (vedi Berakhòt 28b), l’uomo teme gli altri uomini più di quanto tema D-o Stesso. Infatti, quando uno compie una trasgressione si assicura prima di tutto che nessun altro lo veda, noncurante del fatto di essere visto dall’Alto. In particolare, i nostri Maestri sanno bene che “adàm bahùl al mammonò” (Talmùd, Shabbàt 117b): l’uomo può fare cose strane o dannose per sé e per gli altri a causa del denaro. I guadagni sono una grande tentazione di per sé; ancora di più quando sono coinvolti finanziamenti pubblici, poiché è una situazione con le massime opportunità di guadagno, ed è proprio in questo contesto che bisogna agire con il massimo scrupolo e trasparenza.

Uomini Onesti

La parashà di Pekudè riporta i dettagli di come furono usate le donazioni dei membri del popolo per la costruzione del Mishkàn: La Torà elenca l’esatta quantità di oro, argento, bronzo raccolta e come è stata utilizzata. Il Midràsh racconta che la gente “aveva gli occhi puntati su Moshè” (Shemòt 33:8), ossia lo criticavano, dicendosi l’un l’altro: “Guarda il collo, le gambe, sta mangiando tutto quello che appartiene a noi”; “Cosa ti aspetti da chi è in carico del Santuario? Che non diventi ricco?”. Sentito tutto questo, Mosè si affrettò a rispondere: “Appena il Santuario sarà completato, vi darò un resoconto dettagliato” (Tanchumà). Così, Moshè procedette al rendiconto per togliere qualsiasi sospetto che si fosse appropriato di beni destinati al Mishkàn. Il resoconto non fu dato da Mosè in prima persona ma dai Leviti sotto la direzione di Itamàr, ossia da terze persone, indipendenti e autorevoli. Un passo del Libro dei Re sembrerebbe indicare che il resoconto di Moshè non era strettamente necessario. Durante il regno di Yehoàsh fu raccolto denaro per i lavori di restaurazione del Tempio di Gerusalemme: “Non ebbero bisogno di un resoconto da coloro ai quali avevano dato il denaro per pagare gli operai poiché essi agirono in completa onestà (II Re 12:16). Mosè, che era persona integra e onesta, agì oltre quanto richiesto dalla legge, ed è proprio il fatto che non era tenuto a rendere conto del suo operato che rende l’episodio particolarmente rilevante. Ci deve essere trasparenza nei conti quando si tratta di fondi pubblici anche se i responsabili sono persone impeccabili e di ottima reputazione. “Siate puliti di fronte a D-o e di fronte a Israele” (Numeri 32:22): questa frase è entrata a far parte della legge ebraica come il principio per cui una persona deve assolversi davanti agli uomini e davanti a D-o (Mishnà, Shekalìm 3:2). Non basta agire in onestà, bisogna che ciò sia chiaro e visibile a tutti; è dovere di una persona distogliere da sé qualsiasi motivo di sospetto.

Nella Pratica

Un esempio di applicazione pratica della norma erano le regole per coloro che prendevano le monete per i sacrifici nell’apposito locale del Tempio in cui erano custodite: non potevano indossare niente in cui avrebbero potuto nascondere monete; non potevano entrare indossando un manto foderato, sandali o recando tefillìn o amuleti, affinché la gente non potesse dire che, se diventavano poveri era a causa di colpe commesse nel locale o se diventavano ricchi era perché si erano appropriati delle monete. Allo stesso modo, se c’erano dei fondi per la tzedakà non distribuiti, chi li gestiva non poteva cambiare monete in bronzo con monete in argento col proprio denaro, ma il cambio doveva essere effettuato da terzi. I supervisori delle mense per i bisognosi non potevano comprare cibo in più se non c’erano poveri a cui distribuirlo; eventuali avanzi andavano venduti ad altri in maniera da non sollevare sospetti sui responsabili. Lo Shulchàn Arùch (il Codice di Legge ebraico) stabilisce che le raccolte di tzedakà debbano essere effettuate da almeno due persone affinché una supervisioni l’altra. A questo proposito c’è diversità di opinioni tra rav Karo e rav Isserlis: il primo stabilisce, sulla base del passo dei Re citato sopra, che non è richiesto alcun resoconto formale da persone di riconosciuta e impeccabile onestà, mentre il secondo afferma che va comunque fatto per il principio “siate puliti davanti a D-o e davanti a Israele”. La carica pubblica deve essere vista come un servizio, e non come strumento di potere di cui alla fine si abusa. La fiducia è l’essenza della vita pubblica: una nazione che sospetta i propri capi di corruzione non può funzionare come società libera, equa e aperta.

Di Rabbi Jonathan Sacks, chabad.org